Politica

L'abolizione del finanziamento pubblico è stata una scelta sbagliata

L'opinione di Lorenzo Zacchetti

L'inchiesta "Lobby nera" e altri fatti di cronaca riportano all'attenzione il problema: si è ceduto all'antipolitica, ma resta il nodo dei costi

Un trolley che doveva essere pieno di soldi, ma che invece conteneva libri sull’Olocausto. Una signora curiosamente agghindata con i lineamenti nascosti da mascherina, occhialoni e cappello a larghe falde. Un’improbabile parola d’ordine.

Guardando la seconda puntata dell'inchiesta "Lobby nera" sembrava davvero di essere finiti in un b-movie poliziottesco o in una rivisitazione di “Vogliamo i colonnelli”. 

Ovviamente sarà la magistratura ad accertare eventuali profili di reato e quindi su questo va sospeso il giudizio. Un giudizio di tipo politico è invece necessario, a partire da un aspetto non secondario: ancora una volta, si dimostra come l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti non sia stata una scelta particolarmente avveduta.

Correva il 2013 e il vento dell’antipolitica soffiava fortissimo. Anche per questo, un Enrico Letta ancora lontanissimo dall’idea di un’alleanza strutturale con il M5S, mise la faccia sulla riforma approvata dal suo Governo.

Qualche anno dopo, il bilancio è impietoso. Le donazioni provenienti dal 2x1000 nella dichiarazione dei redditi e dalle liberalità di altro genere non bastano certo per coprire i costi necessari per fare attività politica. A meno che non ci si illuda di potervi provvedere con le salamelle vendute alle feste di partito, manca una soluzione alternativa per coprire spese non certo voluttuarie, che spaziano dall’affitto delle sedi, agli stipendi dei dipendenti, fino ai manifesti per le campagne elettorali, sempre più mosce.

La tristezza delle plance vuote che hanno accompagnato anche l’ultima tornata sono un sintomo di malessere: il sistema così non si regge e a farne le spese è il dibattito democratico, anche se le ragioni del sempre più diffuso astensionismo stanno soprattutto altrove.

Se ci si affida solamente alle donazioni dei privati, nella migliore delle ipotesi si corre il rischio che esse siano vincolate alla tutela di specifici interessi di parte. Questo non è di per se’ sbagliato, ma bisogna porsi il problema di regolamentare il fenomeno, come ad esempio accade negli Stati Uniti, anche a tutela degli interessi di chi -  al contrario – non ha disponibilità economica per sostenere i propri rappresentanti.

Ancora peggio è la situazione nella quale gli stakeholder che si avvicinano alla politica sono portatori di interessi illeciti e/o utilizzano modalità contrarie alla legge, come i finanziamenti in nero. Certamente servono politici con la schiena dritta e capaci di dire di no, ma anche regole chiare su come finanziare in modo legale la politica, altrimenti il rigore porterà come effetto collaterale l’atrofia di attività fondamentali per l’esercizio di una democrazia compiuta.