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Politica
Lega: Travaglio? I suoi lettori stanno con Salvini. Scontro Lega-Travaglio

Alessandro Morelli, deputato della Lega e responsabile Comunicazione del partito di Matteo Salvini, intervistato da Affaritaliani.it, risponde al durissimo editoriale di Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano contro il ministro dell'Interno dal titolo 'Sotto il giubotto niente'.

Marco Travaglio, sulla prima pagina de Il Fatto Quotidiano di oggi, scrive un editoriale, dal titolo 'Sotto il giubbotto niente', pesantissimo contro Matteo Salvini, definito 'il Fregoli del Viminale'. Come se lo spiega? Perché tutto questo livore contro il leader della Lega?
"Così facendo Travaglio dà una mano all'opposizione, è quasi un soccorso rosso al Pd".

Ovvero?
"Se il Pd non è in grado di fare opposizione a Matteo (Salvini, ndr), se non prendendolo per il naso sulla questione che indossa le divise, certo non ci mancava Travaglio che dal suo pulpito se la piglia pure lui con il ministro che sta facendo di più in assoluto".

Torniamo alla domanda iniziale. Perché se la prende così tanto con Salvini?
"Magari Travaglio avrebbe voluto che in questi mesi Salvini si occupasse di altro, ma gli ricordo che milioni di italiani la pensano diversamente e gli hanno dato il mandato di condurre una battaglia senza frontiera all'immigrazione clandestina, una stretta sul tema della Mafia soprattutto con uno sguardo sui problemi che hanno attanagliato Roma per tanti anni".

Provvedimenti che dovrebbero piacere a Travaglio, o no?
"Esatto, come la scelta di affamare la bestia, leggesi Mafia, aumentando poteri, uomini e forze dell'agenzia nazionale per i beni confiscati".

E allora perché Travaglio usa questi termini così forti? Non condivide tutte le cose fatte da Salvini che lei ha elencato, compresa la lotta alla Mafia?
"Evidentemente no, magari Travaglio ha altre mire".

Quali?
"Ah, non lo so. Chiedetelo a lui. La prossima volta Travaglio si candidi alle elezioni, prenda i voti e diventi ministro dell'Interno. Così poi vediamo che cosa è in grado di combinare".

Travaglio avrebbe preferito un governo M5S-Pd, evidentemente...
"Forse. Una cosa è certa, io parlo al mercato anche con tanti elettori del M5S e, probabilmente, con lettori de Il Fatto Quotidiano. Se da un lato sono contenti che il governo e la maggioranza abbia approvato misure come il Decreto Dignità e il reddito di cittadinanza, dall'altro sono sicuramente altrettanto felici di essere al fianco di una forza rappresentata dal ministro dell'Interno che mette al centro gli interessi degli italiani rispetto agli interessi degli altri, come facevano i governi precedenti".

E quindi?
"Travaglia se ne farà una ragione".

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'Sotto il giubbotto niente' - L'editoriale di  Marco Travaglio

Non sappiamo ancora se quello dei 177 migranti sulla nave Diciotti fu un sequestro e se Salvini ne risponderà in Tribunale. Ma sappiamo già che un sicuro sequestro è in atto in queste ore: quello del cervello di milioni di italiani poco o male informati che, concentrati sugli eventuali reati commessi dal ministro dell’Interno nell’agosto scorso, non si accorgono dei suoi fallimenti. Anzi, pensano che si voglia processarlo per aver salvato l’Italia dai clandestini, dal disordine e dall’insicurezza, tre fenomeni che invece le sue politiche non fanno che aggravare. Mercoledì il Fregoli del Viminale s’è presentato in Parlamento travestito da poliziotto, con giubbotto d’ordinanza, manco fosse il colonnello Tejero. Il Pd e la sinistra hanno subito abboccato all’amo, strillando all’“attacco alle istituzioni”, cioè spacciando quella visione tragicomica per una prova di forza. In realtà è l’ennesimo attestato di debolezza, tipico della sua concezione carnevalesca della funzione ministeriale. Siccome Salvini non riesce a fare quasi nulla di ciò che aveva promesso agli elettori, cioè non sa governare e neppure ci prova, getta fumo, annunci, proclami, dirette Facebook, felpe, ruspe e uniformi negli occhi di chi ci casca. La sicurezza richiede faticosi compromessi, noiose scelte politiche e un quotidiano lavoro diplomatico lontano dai riflettori: per risolvere i problemi a uno a uno, con pazienza ed efficienza. Ma questa, volgarmente detta “amministrazione”, non fa per lui. Così come la sicurezza, a cui preferisce la “rassicurazione”. Anche perché, se risolvesse almeno qualcuno dei problemi legati all’immigrazione e alla sicurezza (che solo in parte coincidono), poi di cosa parlerebbe?

Ieri Salvini ha annunciato che un giovane migrante gambiano di 21 anni, prima ospitato nel Cara di Castelnuovo di Porto e poi, dopo la chiusura di questo, in una struttura di Melfi, era stato arrestato mentre rubava una radio in un negozio e, durante il fermo, aveva aggredito i carabinieri con calci e pugni. E ha ironizzato: “L’episodio mi stupisce, visto che per la sinistra e parecchi commentatori gli ospiti del Cara erano un esempio straordinario di integrazione. Grazie alle forze dell’ordine. Garantisco che la nostra linea non cambia: tolleranza zero per clandestini e delinquenti. E vogliamo chiudere tutti i grandi centri che producono problemi, sprechi e illegalità. Altro che ‘modello di integrazione!’”. Ora, che il Cara di Castelnuovo (e anche altri, come quello scandalo a cielo aperto del Cara di Mineo) andasse chiuso, lo sapevano tutti, anche chi ha menato scandalo per partito preso.

Ma un ministro dell’Interno attento alla sicurezza dei cittadini, oltre a chiudere i centri troppo ampi, dunque incontrollabili e spesso infiltrati da clan tangentizi e malavitosi, dovrebbe sostituirli con strutture più piccole, snelle, diffuse e vigilate. Come gli Sprar comunali, che invece il suo sciagurato decreto Sicurezza depotenzia e svuota. Col risultato di mettere per la strada migliaia di migranti, perlopiù clandestini che, non avendo più nessuno che li sorveglia e li tiene impegnati in progetti di integrazione, si danno nella migliore delle ipotesi all’accattonaggio e nella peggiore al crimine. Aumentando l’insicurezza, percepita e reale. Ma regalando a Salvini altra propaganda gratuita, in un Paese ipnotizzato e anestetizzato che non gli chiede di risolvere i problemi, ma di denunciarli con parole roboanti e di promettere soluzioni nella settimana dei tre giovedì. Possibilmente in divisa da poliziotto. Mentre Conte e Moavero si dannano l’anima per stabilizzare la Libia, sulla scia delle politiche avviate da Minniti, per garantire standard di efficienza della Guardia costiera locale e rispetto dei diritti umani nei campi profughi un po’ meno inaccettabili degli attuali, Salvini che fa? Dichiara guerra all’ex direttore dell’Aise (il servizio segreto estero) Alberto Manenti, massimo esperto italiano di Libia (di cui è originario), in ottimi rapporti con tutte le fazioni, lasciandolo a lungo senza un successore; blocca per mesi la nomina del nuovo ambasciatore a Tripoli, difendendo quello di prima, il noto gaffeur Giuseppe Perrone, tornato in Italia perché sgradito sia al governo Al Sarraj sia al generale Haftar; e si reca ripetutamente in Libia, in concorrenza e sovrapposizione con Conte, Moavero e la Trenta, creando solo casino.

In campagna elettorale prometteva di espellere i 600 mila clandestini dal suolo patrio; poi ha scoperto che “ci vorrebbero 80 anni”, oltre a risorse finanziarie e accordi con i Paesi d’origine attualmente inesistenti. Ma, se non si comincia mai, gli anni diventeranno 100. L’impossibilità di rimpatriare tutti non è una buona ragione per non rimpatriare nessuno. Possiamo sapere a quanti governi africani ha proposto accordi e che risposta ne ha avuto? E, già che ci siamo: ha mai chiesto ai suoi amici dell’Ungheria e del fronte Visegrad di supportare gli sforzi diplomatici di Conte e Moavero per ottenere una cabina di regia stabile in Commissione Ue per l’accoglienza condivisa di chi sbarca nei porti italiani? E, se sì, che cosa gli hanno risposto? E, se gli han risposto “prima gli ungheresi”, “prima i polacchi”, “prima gli slovacchi” ecc., come può restare loro alleato e ripetere “prima gli italiani”? Questo, oltre a bloccare una nave italiana in un porto italiano, dovrebbe fare un ministro dell’Interno che voglia tutelare “un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o un preminente interesse pubblico”. E questo dovrebbero pretendere da lui i suoi partner di governo a 5Stelle e i suoi oppositori in buona fede. Cioè intentargli un processo politico che, per lui, potrebbe rivelarsi molto più imbarazzante e insidioso di quello giudiziario.

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