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Meloni in Cina per ricucire i rapporti dopo lo strappo sulla Via della Seta

Meloni in Cina per ricucire i rapporti dopo lo strappo della Via della Seta

Non c’è ancora una data ufficiale sul calendario. Sappiamo però che Giorgia Meloni effettuerà un viaggio di Stato in Cina entro la fine del mese. Il suo obiettivo? Duplice.  Da un lato il governo italiano cercherà di rafforzare il partenariato strategico globale Cina-Italia. Trasformando, di fatto, l’intesa siglata 20 anni fa nella piattaforma di dialogo prediletta alla base del dialogo tra i due Paesi.

Dall’altro, Meloni cercherà di rimpiazzare il memorandum sulla Nuova Via della Seta, non rinnovato, con un memorandum industriale di qualche tipo. Dove dovrebbero essere coinvolti il ministero delle Imprese e Made in Italy e quello della Tecnologia cinese.  Certo è che la premier italiana dovrà muoversi su un terreno insidioso. E per almeno tre motivi. Intanto perché Pechino è rimasta scottata dall’uscita di Roma dalla Belt and Road Initiative (BRI).  Il Dragone ha quindi lasciato intendere di voler puntare principalmente su altri Paesi europei per gestire i suoi rapporti con Bruxelles (Francia e Germania).  E, infine, last but not least, ci sono da ricordare gli errori diplomatici/comunicativi del governo Meloni. Che potrebbero pesare, e non poco, in fase negoziale.

Meloni e la Cina: come dimenticare la Via della Seta?

Meloni dovrebbe atterrare a Pechino nei prossimi giorni. Incontrerà il presidente cinese Xi Jinping - che l’aveva invitata nel 2020, senza ottenere risposta – e il primo ministro Li Qiang.  Pare, inoltre, che sarà previsto un business forum durante il quale le parti proveranno a riequilibrare le relazioni economiche bilaterali. O meglio: l’Italia cercherà di far scordare al partner cinese l’uscita dalla Via della Seta e a strappare il Piano d’azione per il rafforzamento del Partenariato strategico globale 2024-2026.  Attenzione però, perché permangono le distanze su almeno un nodo ancora da sciogliere. Se è vero che il negoziato sul documento è concluso, è ancora aperto il discorso su un punto specifico.

La Cina ha chiesto di inserire nel testo un riferimento essenziale allo “spirito della Via della Seta”, presumibilmente per lasciar intendere al mondo intero che l’Italia, in qualche modo, è ancora legata al progetto di Xi.  Roma, però, preferirebbe seppellire ogni riferimento alla BRI sotto lunghe perifrasi storiche e culturali, sbandierando il ruolo giocato dalla nazione italiana nei “rapporti secolari tra Occidente e Oriente”.

Il dossier industriale e i nodi diplomatici. Verso accordi nel settore automobilistico?

L’altro dossier riguarda la collaborazione industriale tra il ministero delle Imprese e del Made in Italy e il ministero della Tecnologia cinese. Indiscrezioni non confermate parlano anche di possibili firme su intese relative alla cooperazione nel settore educativo, nella sicurezza alimentare e protezione ambientale. Ma dovrebbero essere dettagli in confronto ai quattro altri accordi preliminari sul tavolo tra il dicastero guidato da Adolfo Urso e quattro aziende cinesi: Ccig, Jac Motors e Chery, attive nel settore automobilistico, e Ming Yang, leader globale nel comparto eolico.

Sarà un caso che Urso, durante la sua visita in Cina - svoltasi dal 4 al 6 luglio scorsi - abbia incontrato i rappresentanti proprio di queste quattro imprese? In caso di fumata bianca, queste intese dovrebbero essere propedeutiche alla finalizzazione di progetti cinesi di investimento in Italia.  Resterà da capire, in attesa dello scioglimento del rebus sullo “spirito della Via della Seta” e della firma degli altri accordi, cosa sceglierà di fare la Cina. L’Italia ha certamente una convenienza non irrilevante nell’attirare investimenti cinesi e smussare i rapporti economici con il gigante asiatico.

Ma Pechino cosa avrebbe da guadagnare nel fare simili concessioni all’Italia? Ci sarebbe l’immagine internazionale da tirare a lucido, il vantaggio di fare eventualmente operare alcune aziende in Europa bypassando dazi e polemiche.  Resta il fatto che il governo Meloni, nel corso degli ultimi anni, ha inanellato alcune posizioni considerate da Pechino autentiche "gaffe diplomatiche".

Quali? La citata uscita dalla BRI, il ricorso al Golden Power per impedire alcuni investimenti cinesi (ma la richiesta di attirarne altri), l’avvicinamento eccessivo agli Stati Uniti, le posizioni prese sulla guerra in Ucraina, la vicinanza espressa – per mezzo di alti funzionari e parlamentari vari – a Taiwan... Insomma, non mancano gli scheletri nell’armadio che Meloni dovrà nascondere agli occhi di Xi – o quanto meno provare ad abbellire – se vorrà portare a casa accordi rilevanti.

 






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