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Palazzi & potere
Il lascito di Ciampi e l’aspirazione a una classe dirigente responsabile

La scomparsa di Carlo Azelio Ciampi ha monopolizzato l’opinione pubblica di questi giorni. Come accade in queste occasioni sono state spese espressioni di celebrazione, sull’onda di una comprensibile emozione. Ma non ci si può ridurre a questo rito. Ciò che onora veramente la memoria di un uomo è il segno che egli lascia negli altri, fino a farne un punto morale di riferimento. È di questo che il Paese, smarrito e ripiegato sulle proprie grettezze, incattivito dalle proprie meschinità, ha bisogno per un nuovo slancio.
Chi era veramente Ciampi? Soprattutto quale messaggio lascia alle classi dirigenti del Paese in evidente crisi, di cui i più furbi cercano di approfittare per la propria personalissima carriera? La sensazione che si percepiva da chi ha conosciuto Ciampi nell’esercizio delle cariche istituzionali, ad esempio da Ministro del tesoro del primo Governo Prodi, era che non consentisse un facile e confidenziale approccio. Incuteva, piuttosto, rispetto e soggezione. Se ne avvertiva la personalità forte, orgogliosa, con una saldo orientamento, istituzionale e professionale in ogni occasione, lontana da provincialismi, portata alla soluzione dei problemi con spirito pratico e buon senso operativo, attento al consenso ma non schiavo e prono allo stesso. Trasmetteva la serenità di chi ha competenza nell’affrontare le situazioni critiche e abitudine ad assumere responsabilità. Insomma una figura che non avresti visto sfigurare in contesti internazionali. Si sapeva, e si ironizzava, della regolarità dei ritmi della sua giornata cui non rinunciava.
Altro tratto essenziale è stata l’aspirazione tutta risorgimentale alla dignità nazionale. Così si spiega la sua ribellione all’indecoroso vuoto di potere dell’8 settembre, quando le istituzioni si erano eclissate lasciando un popolo senza guida. Questa esperienza ne aveva segnato, probabilmente, l’esistenza. Da Presidente della Repubblica volle rinverdire i simboli della Repubblica e più generalmente dello Stato: l’inno, il tricolore, il Quirinale, le onorificenze. Occorreva ridare dignità allo Stato e farlo stare da pari in Europa.
È vero che ci furono errori al momento dell’adesione all’euro e nella fissazione delle parità. E meglio si poteva fare per il controllo dei prezzi, nel passaggio dalla lira all’euro. Ma, come al solito, è molto più facile criticare che fare e nel nostro Paese il rapporto tra chi fa e chi critica o giudica col senno di poi si sta pericolosamente invertendo: quelli che sono capaci di fare e di assumersi le responsabilità in Italia rischiano di essere sempre meno.
I critici dicono che non era “uno di noi”, era un tecnico che apparteneva ai poteri forti. Qui bisogna essere chiari. La politica è insostituibile e il Governo “tecnico” non ha la capacità di visione del Governo politico legittimato dalle elezioni.  Riconosciuto ciò, va anche detto che la creazione della classe dirigente deve basarsi su quell’esempio.
Non giova, invece, il vuoto esercizio dialettico per dare sempre la colpa di tutto all’avversario di turno o per ricercare un facile applauso.
Al di là delle esaltazioni emotive dell’ultima ora e della scontata celebrazione, dalla figura di Ciampi si deve trarre e additare alle nuove generazioni la figura ideale del civil servant: competenza professionale, rigore e severità, approccio non confidenziale, dignità e orgoglio della funzione, attaccamento alle Istituzioni, senso della dignità nazionale e assunzione di responsabilità.  Questo è il lascito di Ciampi che dobbiamo onorare.


 

Carlo Malinconico
*già presidente di sezione del Consiglio di Stato, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e presidente FIEG

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