Incentivi e competenze, la ricetta italiana per l'Industria 4.0
Defiscalizzare gli investimenti produttivi e puntare sulle nuove tecnologie. È così che l’Italia si prepara alla quarta rivoluzione industriale, con oltre 13 i miliardi di incentivi dal 2018 al 2024 che il governo ha previsto di erogare alle imprese, pronte ad investire in nuove tecnologie e in strumenti per favorire la digitalizzazione industriale. Accanto alla conferma del precedente sgravio fiscale al 140%, il Governo ha introdotto con la Legge di Bilancio 2017 un nuovo super ammortamento al 250% per gli acquisti in specifici settori.
L’obiettivo del Governo è quello di aumentare l’efficienza produttiva con delle politiche che porterebbero un vantaggio solo alle grandi imprese. Infatti, gli incentivi fiscali, in un tessuto industriale composto da molte PMI, riusciranno difficilmente a stimolare investimenti in ricerca e sviluppo, soprattutto in un periodo di recessione che dura da anni e in un clima di generale incertezza.
Inoltre, bisogna considerare il prezzo in termini di perdita dei posti di lavoro tradizionali. L’industria 4.0 può essere il “motore” giusto per far ripartire investimenti e produttività in Italia, ma il rischio è che il motore giri a vuoto. Gli investimenti del Piano Industria 4.0 devono essere accompagnati da agevolazioni per assumere manager qualificati, esperti in tecnologia ed innovazione. Il contributo dei manager è, infatti, essenziale per promuovere la trasformazione digitale del comparto industriale italiano e per recuperare il ritardo del nostro Paese sarebbe opportuno immettere le managerialità qualificate nelle PMI contestualmente all’attivazione degli incentivi individuati con l’estensione dell’ammortamento. Per costruire una squadra di manager competenti può bastare una politica di natura fiscale? Sicuramente no, ma è un primo passo.
Quindi, per valutare l’impatto della manovra, che punta a rendere competitive soprattutto le PMI italiane, occorrerà capire come sostenere anche la nascita di una nuova generazione di lavoratori digitalizzati. L’obiettivo non deve essere solo quello di formare persone con competenze tecniche ma anche altre figure che abbiano skills minimi di base, rafforzando interventi sulla formazione di competenze digitali nelle PMI, come elemento fondamentale nella definizione degli obiettivi strategici. Ancora nel 2013, il 40% dei piccoli imprenditori italiani pensava che internet non fosse rilevante per il proprio futuro. Allo stesso tempo, solo il 12% dei giovani italiani era occupato nel settore digitale, contro la media europea del 16%. La Commissione Europea ha calcolato che entro il 2020 ci saranno 900mila posti di lavoro vacanti per mancanza di competenze dedicate, più del triplo rispetto ai 275mila registrati nel 2012. E in Italia il 22% delle posizioni aperte in questo ambito non trova candidati all’altezza.
Nel 2020 la popolazione digitale avrà superato i 6 miliardi di persone, prepararsi ad accoglierli è il modo migliore per rilanciare la nostra economia.