Palazzi & potere
Miracolo Trump: vincere avendo tutti contro
Trump deplorevole? Di sicuro lo era la gestione precedente che ha clamorosamente fallito
Come mai, Trump, partendo con sul groppone tanti e gravosissimi handicap, è riuscito ad avere la meglio su Hillary che gareggiava senza inciampi? Se lo chiede il direttore di Italia Oggi Pierluigi Magnaschi che dalle pagine del quotidiano scrive: "È che l'establishment americano, nell' immarcescibile certezza della sua supremazia, più o meno radical chic, si era dimenticato dei molti americani abbandonati al bordo della strada. Volevano il benessere per il resto del mondo dimenticandosi, come se fosse una colpa, di quello dei vicini di casa (si fa per dire). Ampliavano i loro campus universitari, senza tener conto che le rette sempre più alte li rendevano impermeabili ai giovani, non dico della classi disagiate (quelli, ad Harvard, non sono mai andati, come del resto da noi i neri a Capalbio) ma escludevano anche i giovani del ceto medio. Obbedendo ai teoremi di qualche economista defunto (del tipo di quelli già evocati da Keynes, a suo tempo) toglievano le barriere doganali senza tener conto che un grosso portacontainer porta oggi più merci di tutti i galeoni che, in un secolo, hanno navigato fra la Cina e l' Europa. Erano perfettamente coscienti che quando una società (specie se bancaria o finanziaria) diventa troppo grossa, essa si trasforma in una too big to fail, troppo grossa per essere lasciata fallire, per cui, in quest'ultimo caso, dopo aver distribuito copiose retribuzioni ai suoi dirigenti, in caso di fallimento, deve essere sostenuta con i soldi pubblici (che sono di tutti) per impedire che, per contagio, tiri giù tutto.
Non so se Trump, continua Magnaschi, sarà la risposta ai problemi americani. Ciò che so per certo è che la gestione precedente era, essa sì, deplorevole. E meritava, per il bene degli Usa ma anche di noi europei, di venire rimossa. Sono i deplorevoli che hanno mandato a casa una classe inutilmente impettita che ha clamorosamente fallito. Prima nei fatti. E poi nelle urne.