Politica
Raffaele Fitto e il futuro dell'Europa. Coesione, con lui la possibile svolta
La coesione è materia da tempo assai delicata e da tempo richiede una profonda revisione. Ed è qui che Fitto potrebbe svoltare il futuro dell'Ue
Raffaele Fitto e il futuro dell'Europa, il nuovo ruolo del ministro
Si è molto discusso in questi giorni sul ruolo di Raffaele Fitto, da mesi candidato in pectore al ruolo di commissario. Molti hanno criticato quello che appariva un ritardo eccessivo e a tratti inspiegabile da parte della premier nell’indicare il suo nome ufficialmente. Ma forse queste troppo semplicistiche e forse un po’ opportunistiche critiche potrebbero presto essere smentite dai fatti.
La questione, che ha richiesto un lungo travaglio (sotto forma di serrate trattative con la presidente della commissione e i vertici europei del PPE) non era legata tanto al ruolo da affidare a Fitto (sul suo nome fondamentalmente non ci sono mai stati grandi dubbi) dal solo punto di vista formale, nel senso che fosse riconosciuto il peso specifico di un paese fondatore come l’Italia.
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Ma la questione riguarda anche l'aspetto sostanziale di quel ruolo da assegnare al ministro pugliese, nato a Maglie il 28 agosto del 1969. La delega sui fondi di coesione, Pnrr e chissà magari anche bilancio, che a torto sempre i soliti criticoni (o forse sarebbe meglio dire rosiconi chissà) definiscono di serie B, potrebbe essere invece, nelle mani sapienti di Fitto, una vera e propria manna per il nostro paese, che in fatto di utilizzo dei fondi di coesione è da sempre agli ultimi posti in graduatoria.
Probabilmente, chissà, ma queste sono retroscena che lasciano il tempo che trovano, Giorgia Meloni e Fitto, fin dall’inizio della avventura governativa (alla faccia di chi dice che la Meloni non ha un programma, non facendo gli interessi dell'Italia, come risolvere i problemi, come la rediviva segretaria del pd Elly Schlein) avevano in mente, con la nomina del politico pugliese al ministero per gli affari europei con delega sui fondi di coesione e Pnrr, ad un futuro da commissario.
La coesione è materia da tempo assai delicata e da tempo richiede una profonda revisione, che ormai appare non più rinviabile. La politica di coesione europea, o politica regionale, infatti, ha le sue origini nel trattato di Roma del 1957 che istituisce la Comunità economica europea e richiede “interventi speciali” per promuovere uno “sviluppo armonico” dei territori della Comunità. In quell’occasione viene istituito il Fondo Sociale Europeo (FSE) per sostenere l’occupazione e assicurare opportunità lavorative più eque.
Nel 1975 nasce anche il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), che finanzia singoli progetti scelti dagli Stati Membri. Nel 1988 viene varata una riforma che definisce la politica di coesione vera e propria e i Programmi Operativi del ciclo 1989-1993 con obiettivi prioritari e geografici. In tutti questi anni il sud Italia è stato uno dei maggiori beneficiari a livello di somme stanziate ma uno dei peggiori nella capacità di spesa degli stessi.
Basti dire che ad oggi nel programma 2021-2027 sono stati spesi appena il 2% dei fondi (in quello precedente 2014- 2020 il 15%). Ecco perché quello fatto dal Ministro Fitto sul Pnrr (dove ad oggi sono stati spesi quasi il 50% dei fondi stanziati) è un qualcosa di importante. Ma ora il suo ruolo in Europa deve riuscire a fare quello che ormai non pare più procrastinabile, e cioè una seria riforma dell’istituto dei fondi di coesione, che ormai così come sono stati concepiti, stanno dimostrando tutte le loro inefficienze e squilibri.
Entro fine anno verranno indicate le nuove sfide politiche (geopolitiche, digitali, ambientali e demografiche) e nella primavera 2025 si pubblicheranno i primi documenti della coesione post 2027. Ma prima di arrivare a qui nella sua ultima relazione (la nona) sulla coesione, nelle raccomandazioni, la commissione auspica un intervento radicale per modificare le logiche che fino a qui hanno mosso le politiche della coesione.
Nello specifico la Commissione propone di concentrarsi su due aspetti:
1) costruire migliori istituzioni nazionali e regionali, mettendo il rafforzamento della capacità istituzionale e l’innovazione sullo stesso piano degli investimenti nelle infrastrutture (in altre parole selezionare personale qualificato per la politica di coesione);
2) investire maggiormente nello sviluppo del capitale umano, anche attraendo e trattenendo persone con un'istruzione terziaria. È evidente che perseguire molti (e non sempre coincidenti) obiettivi contemporaneamente rende difficile raggiungere progressi significativi nei singoli temi, portando così a una generale percezione di inefficacia della politica.
Un rilancio della Politica di coesione passa, dunque, innanzitutto dall'individuazione di priorità negli obiettivi (proprio come quelli inseriti in maniera assai dettagliata nel Pnrr, che ha certamente aiutato nella determinazione dei progetti realizzabili da quelli no).
Per garantire il conseguimento di questi obiettivi sarebbe auspicabile se non necessario adottare una prospettiva a lungo termine. Le recenti crisi, come la pandemia di COVID-19 e la crisi energetica seguita all’invasione russa dell’Ucraina, hanno spostato le priorità verso risposte a breve termine. Se è vero che la Politica di coesione ha dimostrato la sua adattabilità alle esigenze immediate, questa flessibilità ha, però, compromesso i suoi obiettivi a lungo termine.
Uno sviluppo regionale sostenibile può essere raggiunto solo attraverso investimenti a lungo termine, in particolare nella diversificazione delle economie regionali, nel rafforzare l’adattabilità al cambiamento ambientale, tecnologico e demografico e nel migliorare le competenze della forza lavoro. Per rendere più efficienti i fondi di coesione, poi servirebbe, a detta di molti esperti, una maggiore razionalizzazione della spesa, con un approccio basato sul pagamento in base ai risultati, che è l’opposto del sistema basato sul rimborso oggi tipico della Politica di coesione, potrebbe fungere da modello per migliorare l’efficacia della politica.
Tuttavia, l’adozione di questo nuovo sistema di erogazione su larga scala, necessita di una reale verifica preventiva e di valutazioni di fattibilità ex ante. Ed è su questo solco che il lavoro di Raffaele Fitto, politico di lungo corso, che conosce a menadito come si muove la macchina burocratica di Bruxelles, può e deve incidere per migliorare l’efficienza di capitolo di spesa che rappresenta un terzo dell’intero bilancio europeo. Il futuro della coesione è ancora incerto, ma occorre migliorare la fase di progettazione politica e di esecuzione operativa e soprattutto accrescere le sinergie con le altre politiche, a livello nazionale e comunitario.
Tuttavia, rimane uno strumento essenziale, irrinunciabile per l’Unione: la coesione economica, sociale e territoriale è fondamentale per aumentare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee e combattere il crescente euroscetticismo. E dopo l’esperienza maturata in patria, con gli ottimi risultati ottenuti, e considerando il peso che i fondi di coesione potrebbero avere in futuro per il rilancio del mezzogiorno, il ministro pugliese potrebbe essere l'uomo giusto al posto giusto, per il nostro paese.