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Alessandro Leogrande, Taranto
e la fucina del Liceo 'Archita'
Mario Pennuzzi ricorda l'amico e concittadino tarantino Alessandro Leogrande
In molte e piccole e grandi città del nostro Paese gli antichi licei classici, ancor più delle università sono stati il luogo nel quale si sono formate le elite politiche e culturali che hanno amministrato, prodotto storia e cultura. A Torino il D’Azeglio, che aveva grandi maestri come Augusto Monti, a Bari il Flacco che in realtà è dedicato al poeta latino Orazio - Flacco appunto - a Taranto il liceo Archita, iò più antico liceo della città, che contende al Cagnazzi di Altamura la palma di più antico liceo delle Puglie.
Strana vicenda quella dell’Archita, ottima istituzione colturale in una città che ha sempre prestato poca attenzione alla necessità di coniugare la cultura con lo sviluppo e le crescita della città, oggi messa in crisi da una incapacità amministrativa che ne ha reso precaria da anni la sede. Da questo liceo sono passati i cittadini più significativi del capoluogo ionico, dal giovane Aldo Moro che tarantino non era, ma che trascorse a Taranto gli anni del suo liceo, a Odoardo Voccoli sindaco di Taranto senatore ed esponente di spicco dell’ antifascismo meridionale.
Qui ha mosso i primi passi uno scrittore di fama nazionale che risponde al nome di Giancarlo De Cataldo. Negli ultimi lustri un gruppo di insegnanti di ottimo livello, maestri di vita oltre che di cultura ha formato nuove generazioni di studiosi e professionisti, molti dei quali sono sciamati nelle grandi città italiane ed ultimamente in gran parte dell’Europa, perché nel nostro Mezzogiorno è ormai difficile dare uno sbocco adeguato alle intelligenze ed alle professionalità che i creano. In questo liceo negli anni ’90 si era formato Alessandro Leogrande.
Era un momento di svolta per la città, una città che per tutto il ‘900 aveva vissuto orgogliosamente il suo processo di industrializzazione, che l'avevano resa una delle città più ricche e moderne nell’Italia meridionale. L'industrializzazione prima dell’Arsenale e dei cantieri Navali, poi del IV centro siderurgico che, da grande promessa per il futuro, si stava trasformando in una trappola mortale: inquinamento, morti sul lavoro, malattie e disoccupazione di ritorno, con perdita di diritti e di dignità nel lavoro e del lavoro.
Era entrato in crisi il tessuto democratico di una città che sino a quel momento aveva avuto una vocazione progressista ed erano emerse tendenze populiste ed antidemocratiche. Un tele predicatore fascio-leghista, (proveniva dagli ambienti dell’estrema destra ed aveva inventato una lega meridionale che non disdegnava agganci con la parte più estremista della “Liga veneta” (Borghezio) era diventato sindaco della città.
Tra i giovani di quella scuola nasceva una volontà di disegnare ed ipotizzare un futuro diverso, i giornali studenteschi furono la prima palestra del futuro scrittore. Ma la scuola non fu solo quella, Leogrande proveniva da una famiglia di profonde tradizioni democratiche: la madre attenta educatrice, il padre Stefano insegnante ha retto per moltissimi anni una delle scuole medie più difficili della città, dove povertà, ignoranza, degrado e persino influenze della malavita, rendevano difficile svolgere una azione educativa, e pure per molto tempo quella scuola fu esempio di collaborazione tra le famiglie e la scuola, e fu difesa a spada tratta dagli attacchi e dai vandalismi.
Oggi purtroppo è un rudere abbandonato e depredato. Stefano per 20 direttore della Carithas diocesana è stato uno dei leader dei movimenti pacifisti degli anni ’80, organizzatore di attività di accoglienza, ai tempi della grande migrazione dall’Albania, i profughi furono accolti e si organizzarono campi di lavoro sull’altra sponda dell’Adriatico.
I buoni insegnanti dell’Archita si accorsero subito delle qualità di questo allievo, studioso, curioso, capace, pensoso, “In molti casi era Alessandro a correre davanti con la propria attività e noi affannati a corrergli dietro”, ci confidò una volta una sua insegnante .
Roberto Nistri, che è lo storico per antonomasia della città di Taranto, non solo si accorse delle capacità dell’allievo, ma lo inserì (giovanissimo) in una antologia che raccoglieva le migliori scritture tarantine del 900.
Poi l’università, il trasferimento a Roma, l’incontro con Fofi, i lavori per la Rai, i libri, gli studi e le inchieste: il giovane falco era volato lontano ed era diventato una delle giovani promesse dell’intera nazione, ma il suo rapporto con la città non era mai venuto meno. Intorno a lui sono cresciuti giovani virgulti promettenti, per sè, per la città e per la Puglia. Qualche tempo fa qualcuno aveva pensato a proporlo come candidato sindaco di Taranto, ma i tempi non furono considerati maturi e non se ne fece nulla.
Questa morte improvvisa, assai dolorosa, non deve interrompere questo processo, ricordare Alessandro - in questo grave momento - non può che significare riprendere il suo impegno civile e dare, ciascuno secondo le sue possibilità, una mano perché quella nuova generazione di studiosi e di giovani donne ed uomini - impegnati nel sociale - possano affermarsi e prendere le redini della città.
Per Taranto sono la sola speranza!
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Pubblicato in precedenza: Alessandro Leogrande, la morte improvvisa e l'identità stratificata di Puglia
Alessandro Leogrande, 'Il caporalato e la lezione di Giuseppe Di Vittorio'
Alessandro Leogrande 'La questione meridionale non è mai finita'