Boulez - L'imperatore
delle anime morte
La morte di Pierre Boulez non è solo la morte di un protagonista del Novecento, ma soprattutto l’estinguersi di una sorta di guerra, dichiarata all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale e mai conclusasi con una vera pace, ma forse con un silente cessate il fuoco.
La guerra dichiarata senza remore e pudori era quella dell’avanguardia musicale riunita sotto le insegne della dodecafonia e della serialità, contro non solo la musica colta tradizionale, colpevole di aver supportato i nazionalismi del primo Novecento e gli orrori successivi e conseguenziali, ma soprattutto di essere stata espressione ripetuta fino alla noia di quei blocchi sociali e culturali colpevoli di tutti i massacri del secolo breve.
I grandi innovatori del linguaggio musicale atonale, la prima generazione dei costruttori della nuova grammatica delle note sono stati Arnold Schönberg, il padre dei padri, Alban Berg il grande operista ed Anton Webern, il geniale elaboratore della “serie” dei suoni senza più alcun rapporto apparente con la tradizione tonale.
Fine della schiavitù della tonalità, fine delle catene imposte alle scelte ritmiche, libertà espressiva nei limiti della serie dei dodici suoni. Queste le leggi del nuovo Tempo musicale.
E poi l’arrivo impetuoso della musica elettronica, annunciato dalle composizioni uniche e misteriose di Edgar Varese, fino a Stockhausen.
La guerra non si combatte se non si punta al controllo delle armi e dei mezzi di informazione.
Nei decenni successivi alla stagione dei grandi proclami sulla necessità di un nuovo linguaggio, di una nuova sintassi musicale e di nuovi fruitori della musica classica, giovani, nuovi borghesi e proletari, l’avanguardia parte senza mezzi termini all’assalto dei soldi pubblici, di posti prestigiosi e di solidi rapporti con critici e stampa.
Pierre Boulez è il più importante esponente di questa straordinaria stagione di guerra musicale, il più ascoltato, il più autorevole.
In pochi anni da talentoso compositore diventa importante direttore internazionale, fondatore di Istituzioni di musica contemporanea e poi l’Imperatore assoluto.
Nel suo lunghissimo percorso scegliamo tre eventi memorabili.
Siamo nel 1970, secondo anno della presidenza Pompidou, il successore del generale De Gaulle. Il presidente francese è uomo coltissimo e vuole fortemente portare la Francia ad essere la prima potenza economica e culturale europea. Si circonda di artisti importanti e celebrati ed affida all’allora quarantacinquenne Boulez il compito di realizzare un grande progetto pubblico sulla musica contemporanea.
Nasce l’IRCAM, ossia “Institut de Recherche et Coordination Acoustique/Musique” il più importante Centro studi per la musica elettronica e contemporanea. E nasce subito dopo L’Ensemble Intercontemporain, un’Orchestra specializzata nell’esecuzione di musica del secondo Novecento di cui il compositore assume la prima direzione musicale. A tutt’oggi ancora una grande realtà.
Nel 1971 il Boulez prestigioso direttore d’orchestra ottiene il più alto riconoscimento della sua vita, con la nomina a Direttore della grande e celebrata New York Philarmonic, l’orchestra fondata da Gustav Malher, l’orchestra di Toscanini e Stokowski che sarà poi di Zubin Mehta e di Lorin Maazel. Resterà a capo del complesso newyorchese fino al 1977.
Ricordiamo ancora il suo debutto alla Scala nel 1979 con la “Lulu” di Alban Berg. È del 1981 la sua composizione capolavoro: “Repons”, eseguita per la prima volta in Germania proprio con l’Ensemble Intercontemporain.
In un’accezione vagamente marxiana si vuole che il termine ideologia equivalga a “falsa coscienza”. Allentando un po’ la morsa scientifica potremmo anche dire che il termine può voler dire anche coscienza deviata o soprattutto “coscienza parziale”.
E qui approdiamo al ruolo dell’avanguardia e della musica contemporanea classica nel secolo scorso.
La ragione è tutta nei lasciti, nelle “legacies” di un movimento, di una corrente culturale. Appare chiaro che nessuno possa mettere in discussione il ruolo storico della ricerca e della musica contemporanea di discendenza seriale e dodecafonica.
Questo però non è sufficiente ad assicurare un futuro o solo un ricordo tangibile e diffuso nella cultura quotidiana e di massa del movimento stesso.
Il limite è stato nell’autoproclamarsi ideologicamente aristocrazia culturale, con il compito, tutto giacobino, di cambiare il mondo, di operare una rivoluzione nata fra pochi a cui molti avrebbero poi dovuto aderire.
E così si è assistito al fenomeno delle tante carriere teatrali, accademiche ed editoriali nate all’ombra della nuova musica. Una vera e propria generazione forgiata da questa volontà ferrea di controllo ideologico e pratico.
Tutti i più importanti direttori d’orchestra dovevano eseguire, commissionare e far circuitare musica contemporanea. Ci credessero o meno. Una tappa ineludibile della loro carriera. E così è stato. Al di la del bene e del male. E commissionare, eseguire e produrre significava anche far circolare risorse e rinnovare la forza delle case editrici musicali.
L’attacco al potere, ciò cui si alludeva prima insomma. E Boulez era l’incontrastato epicentro di questo grande network. Fino all’identificazione quasi totale della musica contemporanea con la musica dodecafonica, con buona pace del pop rock e soprattutto della musica scritta per il cinema. Sono celebri le sue posizioni oltranziste. Dalla concezione fin troppo matematica della musica fino alla messa al bando di autori come Tchaikovsky.
E come tutti i grandi ideologi Boulez ha avuto le sue contraddizioni. L’amore profondo per Wagner, il cantore dell’estrema tonalità, la cui direzione a Bayreuth ha dato al compositore francese fama mondiale o il tentativo, riuscito senza dubbio, di rapportarsi con il Rock sperimentale di Frank Zappa con la commissione del bellissimo “The Perfect Stranger”.
Nello scrivere queste brevi note su una stagione così lunga ed importante nella Storia della Musica del secolo scorso, il nostro sentire potrebbe essere quello di chi si trovi sul margine del tempo o al di là del tempo, tanto lontani ci paiono i giorni delle ideologie.
Quelle coscienze forzate che inducevano taluni a scrivere nei loro manuali di Storia della musica sinfonica dell’ineludibile e giusto tramonto di un compositore come Richard Strauss a favore della nuova musica e del grande pubblico in marcia verso di essa.
Ideologia e ancora ideologia. Nulla di più.
Oggi Richard Strauss è ancora lì, con i suoi capolavori, ci piaccia o meno. Quel poco simpatico signore dalle simpatie politiche non chiare e dalla musica abbagliante. Come sono lì ancora Tchaikovsky, Ravel, Mahler e Shostakovich.
L’avventura della NMN, Nuova musica del Novecento, si è risolta in una sconfitta. I compositori ancora attivi oggi sono coloro che hanno saputo fare i conti con la tonalità e con i mezzi di comunicazione senza preclusioni, e senza pregiudizi estetici. E soprattutto che hanno avvertito la necessità di confrontarsi con il mercato, con il pubblico e con le leggi del successo o dell’insuccesso.
L’imperatore è morto. Il suo esercito è vecchio o non esiste più.
Negli stessi giorni del lutto, Quentin Tarantino celebrava a suo modo il Golden Globe ad Ennio Morricone con parole un po’ sgangherate ma indicative di un sentire diffuso. Nel tempo di You Tube e degli smartphone e della musica fruita secondo Steve Jobs, il regista di “The Hateful Eight” ci ricordava che il baricentro della musica d’oggi si è spostato dal momento produttivo a quello percettivo.
Quello che Nino Rota, Ennio Morricone, John Williams, Maurice Jarre, Hans Zimmer e molti altri avevano o hanno capito da tempo.
Il cinema e le immagini insomma, la sconfitta della Nuova Musica del Novecento.
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Pubblicato sul tema: Fabio Vacchi: "Le sembianze antropomorfe della musica"