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Ettore de’ Pazzis unico pugliese
tra i nobili della Disfida di Barletta
A legare Barletta a Troia, la storica cittadina del Subappennino Dauno, non è solo il mito di Federico II, a cui era tanto cara la prima quanto invisa la seconda, o le vicende decisamente più remote risalenti al passaggio vittorioso - in terra di Puglia - del fenicio Annibale. O ancora ruoli e funzioni nell’assetto ecclesiastico-territoriale delle Diocesi, in quello giurisdizionale delle luogotenenze o nel vivace andirivieni dei flussi pastorizi generati dalla “transumanza”.
C’è un filo che lega le due città, con un capo che si perde tra i filari dei vigneti dell’Uva di Troia - dal carattere e dai profumi tanninico-antociani poderosi - e l’altro nascosto tra i nobili blasoni, che animarono gloriosamente la più celebre delle tenzoni cavalleresche pugliesi: la Disfida di Barletta.
Tredici cavalieri “italiani” che il 13 febbraio del 1503 sfidarono altrettanti francesi, a seguito di un’astuta quanto strumentale provocazione favorita dalle milizie spagnole, bravissime a mantenere alto “il morale delle truppe”, attraverso vittorie e stratagemmi di piccolo calibro, avendo qualche affanno e qualche difficoltà in più negli scontri in battaglia in campo aperto e schieramenti contrapposti.
Tredici mercenari quasi tutti “forestieri”. Nessun pugliese nella famosa Disfida, tranne uno: Ettore de’ Pazzis, da tutti chiamato e meglio conosciuto come: “Miale da Troia”.
Un discendente della famiglia di celebri banchieri fiorentini che, dopo il fallimento della famosa “Congiura de’ Pazzi” a danno dei rampolli Medici: Lorenzo e Giuliano, vide Francesco (figlio di Antonio e nipote di Jacopo Pazzi) esiliato, insieme ad altri, riparare in Puglia nella storica cittadina di Troia.*
A testimoniarne le origini troiane, uno stemma gentilizio - tuttora esistente - in un altare rinascimentale rinvenuto nei ruderi del palazzo della famiglia, a Troia, e riconsacrato nella chiesa di S. Giovanni al Mercato. Origini confermate anche dal Guicciardini, che ricavava questa convinzione da una testimonianza diretta, in quanto saltuario ospite della famiglia di una sua parente, Costanza Guicciardini, madre di Giannozzo Pandolfini, vescovo di Troia.
Come lui altri due cavalieri portavano il nome “troiano” di Ettore - l’eroe omerico primogenito di Priamo e fratello di Paride, finito da Achille lungo le mura di Troia ai piedi delle porte Scee - Ettore Fiemosca, capitano della formazione sfidante i francesi di Guy de la Motte, e Ettore Giovenale detto anche Peraccio Romano, compagno d’armi di Giovanni Capoccio da Tagliacozzo.
Rivivere le emozioni di una sfida, che si rinnova nella “giostra” - decisamente più moderna - di etichette-blasoni di vini italiani e francesi, all’insegna del Nero di Troia, è un modo come un altro per tener vive memoria e tradizione, ma anche per valorizzare potenzialità finora inespresse o ancora sottostimate.
Anche per questo, a iniziative come il Wine-Challange proposto nel Castello di Barletta, magnifica e provvidenziale operazione di marketing a favore del vitigno autoctono di casa, sarà necessario abbinare più racconto del territorio, per la salvaguardia di quell’Amor loci: unico fermento attivo, per tenere sotto controllo gli sbalzi “luminescenti” e indistinti della globalizzazione.
In questo contesto, per un attimo, al Philippe Leroy che veste i panni familiari di Guy de la Motte, immaginiamo un Giancarlo Giannini più autoctono, a cui sarebbe calzata meglio l’armatura di Ettore de’ Pazzis - Miale da Troia, per testimoniare l’unica traccia pugliese e troiana, che riprende corpo nel padrone di casa: il “Nero di Troia”.
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La Disfida di Barletta
In seguito al Trattato di Grenada, firmato in segreto l’11 novembre del 1500, Spagna e Francia mettevano fine alle loro controversie e si spartivano il Regno di Napoli. I vaghi termini dell’accordo, però, non avevano ben definito i confini tra le due aree di competenza e non ci volle molto prima che nascessero nuovi conflitti tra le due parti. La superiorità numerica dell’esercito francese mise subito in difficoltà gli spagnoli, che si arroccarono in alcune piazzeforti tra Puglia e Calabria. E’ proprio in una di queste, quella della pugliese Barletta, importante porto sull’Adriatico e quartier generale del comando ispanico, che si svolgerà la famosa Disfida.
Durante una sortita poco fuori città, guidata dal capitano Diego de Mendoza, vennero catturati un gruppo di cavalieri francesi, tra cui il famoso Guy de la Motte. Il 15 gennaio 1503 i prigionieri vennero invitati ad un banchetto dal governatore, Consalvo da Cordoba, in quella che ora in città viene chiamata la Cantina della Sfida; durante il pasto la Motte offese i combattenti italiani tacciandoli di codardia, scatenando un’aspra contesa a tavola.
Si decise di lavare l’offesa con un duello da svolgersi il successivo 13 febbraio, 13 come i partecipanti per ciascuna parte. I due nobili Colonna presenti in città, Prospero e Fabrizio, si occuparono di allestire la squadra italiana. Come capitano venne scelto un dei più famosi e valorosi capitani di ventura dell’epoca, il capuano Ettore Fieramosca. Gli altri 12 furono: Francesco Salamone (Sutera – Sicilia), Mario Corollario (Napoli), Riccio da Parma, Guglielmo Albimonte (Palermo), Mariano Abignente (Sarno), Giovanni Capoccio (Tagliacozzo), Giovanni Brancaleone (Gennazzano), Ludovico Abenavolo (Aversa/Teano), Ettore Giovenale (Roma), Fanfulla da Lodi, Romanello da Forlì, Miale da Troia (Ettore de’ Pazzis).
Il luogo scelto: un campo recintato nella piana tra Corato ed Andria, da sempre oggetto di speculazioni sull’esatta collocazione e causa della disputa tra Trani, Andria e Barletta su quale città avesse maggior titolo a dare il nome alla disfida. Gli italiani misero fuori gioco in breve tempo tutti i francesi, che il racconto ricorda eccessivamente spavaldi e arrogantemente sicuri della loro vittoria, da non preoccuparsi neanche di portare il denaro pattuito: da versare all’avversario in caso di sconfitta.
La netta vittoria fu celebrata in tutto il Sud, in un sussulto di orgoglio territoriale - in tempi dove era la norma essere assoggettati allo straniero - con messe e una celebrazione particolare nel duomo di Barletta. La vicenda ebbe nuova fortuna durante il Risorgimento, per i suoi evidenti significati nazionalistici, grazie anche al romanzo di Massimo D’Azeglio “Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta”.
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* Francesco Pazzi, dopo aver partecipato alla famosa congiura il 26 aprile 1478, insieme allo zio del cardinale Raffaele “Sansone” Riario, (1460-1521), Gerolamo Riario, fratello della madre Diana, (figlia di Paolo Riario e di Bianca della Rovere sorella di Papa Sisto IV della Rovere), fu costretto all’esilio e si rifugiò a Troia presso la famiglia Sansone (nobile famiglia di Troia, Raffaele cambiò il cognome Sansone, assumendo quello della madre, Riario, per volere del Papa).
(gelormini@affaritaliani.it)
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Pubblicato sul tema: Barletta, Disfida e Wine Challange Il Nero di Troia guida i blasoni italiani