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Gilda Binetti: 'Letta sta al PD come Draghi sta all'Italia'
La nota della pugliese Gilda Binetti, dirigente d'azienda e impegnata nel PD sin dalla fondazione, sul futuro al centro della relazione di Enrico Letta.
di Gilda Binetti *
Confesso di essere rimasta un po’ sconcertata dall’appello del PD a Enrico Letta. Forse un analista più attento avrebbe compreso la gravità della crisi del PD già da tempo, ed anche la composizione della compagine ministeriale nel governo Draghi ne era stata prova: se un partito non è capace di difendere i suoi esponenti più attivi è segno che la necessità di salvaguardare gli equilibri interni ha preso il sopravvento!
Le dimissioni del segretario dunque e l’appello a quello che non è proprio un Papa straniero, essendo stato Letta tra i fondatori del Pd, ma poco ci manca, vista la praticata dimensione internazionale. Non credo sia azzardato dire che Letta sta al Pd proprio come Draghi sta all’Italia, essendo entrambi stati chiamati a “ridare aria”, ad alzare l’asticella, a proiettare l’ambito che governano in un dimensione spaziale e temporale più profonda e ampia. Che poi è fatta di poche parole, anzi forse di una sola: futuro.
Qualcuno diceva che ciò che distingue lo statista dal politico è che il primo lavora per le generazioni a venire. E questo credo sia il compito che Letta si è dato per primo e per prioritario: l’attenzione al mondo che sta arrivando.
Sono i giovani i protagonisti della sua visione, come è giusto che sia ma come non è scontato che avvenga, in un paese in cui i giovani non sono buona merce elettorale, un po’ per ragioni demografiche ma anche molto perché da tempo la dimensione politica non attrae i giovani migliori, che la tecnologia e il naturale essere cittadini del mondo portano a vivere in contesti decisamente più aperti e più capaci di valorizzarli.
Ritengo che le due proposte forti di Letta : ius soli e voto ai sedicenni, debbano essere intese prima di tutto come un manifesto per una società aperta. Che deve tornare a mettersi in movimento, a fermentare, rinunciando ai pannicelli caldi di un reddito di cittadinanza pensato male e attuato peggio o alle scorciatoie di certo decisionismo interventista, che smantella le regole (faccio l’imprenditore e vedo ciò che succede quando con la scusa dell’urgenza si privilegiano le relazioni alla professionalità).
Merita nuova fiducia dunque quella dirigenza del partito che ha avuto il coraggio di fare ammenda dell’essere stata più pavida di don Abbondio ai tempi del Renzi imperante e non aver difeso adeguatamente il Letta premier.
Da parte sua l’Enrico segretario non ha esimenti oggi, e deve necessariamente praticare quella radicalità dei fini e riformismo dei mezzi che egli già proponeva come propria cifra ai tempi del tandem con Bersani. Sono passati più di dieci anni. Se Letta ha imparato (per citare ik suo lavoro editoriale) e lo avrà fatto anche la dirigenza PD, non saranno passati invano.
* Dirigente d’azienda
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Pubblicato in precedenza: Enrico Letta: ‘Serve un nuovo PD e non certo un nuovo Segretario’