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'Le nuove vie della seta' scordano Marco Polo e ignorano Taranto

Pietro Francesco De Sarlo

Esclusiva per Affari: Pietro De Sarlo racconta una storia scomoda e imbarazzante lungo 'Le nuove vie della seta'

 

Se vi state chiedendo perché i vostri figli sono costretti ad emigrare all’estero per trovare lavoro, perché si continua a tagliare il welfare (pensioni e sanità), perché il debito pubblico aumenta, perché il PIL è fermo o in regressione da anni e perché il Sud precipita ogni giorno di più tra le aree più depresse del mondo allora dovete conoscere questa storia.

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Partiamo da un progetto strategico varato dal governo Cinese nel 2013. Il progetto, che si chiama ‘Le nuove vie della seta’, si pone come obiettivo di costruire nuove vie di terra e di acqua per sviluppare i commerci tra la Cina e l’Europa. Ferrovie, strade, porti e aeroporti e il raddoppio del canale di Suez. Si parla di un investimento colossale che dovrebbe aggirarsi intorno al trilione e mezzo di dollari.

Quando si parla di vie della seta non può non venire in mente Marco Polo e non può non venire in mente la frase di uno dei massimi storici europei, Henri Pirenne, che attribuisce l’inizio del Medio Evo al fatto che il ‘Mediterraneo era ridotto ad un lago stagnante’. Ossia, a causa del predominio arabo, le vie della seta e dei commerci con l’estremo oriente erano state chiuse. Un minimo di cultura e di buon senso dovrebbe far immediatamente capire che la strategia del governo cinese di riaprire le rotte dei commerci con l’Europa dovrebbe essere una occasione storica per l’Italia, anzi l’Occasione con la O maiuscola.

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Almeno dal 2013 in Italia non si dovrebbe parlare d’altro e oggi tutti dovrebbero chiedersi come mai le nuove vie della seta passano ovunque tranne che in Italia. Basta mettersi davanti agli occhi la cartina del Mediterraneo per capire come la scelta cinese, fatta nel giugno del 2015, di investire cifre colossali sul porto del Pireo, invece che sui porti italiani, sia poco razionale, o, per lo meno, rappresenti una seconda scelta. Sono quindi pazzi i cinesi?

All’inizio del 2009 la più grande azienda di logistica del mondo, la Hutchinson Wamphoa di Hong Kong, comprò la metà delle azioni del porto di Taranto. L’altra metà apparteneva a un altro gigante della logistica, la Evergreen di Taiwan, azionista del Porto dalla fine degli anni ’90.

La Hutchinson Wamphoa è di proprietà del signor Li Ka Shing, uno degli uomini più ricchi del pianeta e voleva investire sul Porto di Taranto circa 500 milioni per farne il terminale dei commerci con la Cina.

Taranto ha una posizione ideale tra Suez e Gibilterra. Napoleone la voleva sfruttare per conquistare il Mediterraneo, e lo stato italiano, appena nato, nel 1864 ne fece la sua maggiore base navale militare. I cinesi fanno dei conti semplici: l’economia cinese e asiatica tirerà sempre di più, gli interscambi con l’Europa cresceranno e Taranto quindi ha la potenzialità per competere con i porti di Rotterdam e Anversa.

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Taranto, inoltre, ha un retroterra senza montagne e poco densamente popolato su cui espandere la logistica integrata al porto. Li Ka Shing rappresenta l’ala più occidentalizzata della Cina, ha studiato in Inghilterra, e all’Evergreen ci sono gli americani con gli occhi a mandorla di Taiwan. In aggiunta hanno ottime relazioni con Pechino, tanto da influenzarne le scelte.

L’Italia del sud diventerebbe così un asse su cui far cominciare a gravitare, dopo secoli, il nord Italia e mezza Europa.

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Tutta la politica e il ceto dirigente e intellettuale italiano dovrebbero discutere di questa possibilità, invece passano gli anni ma Li Ka Shing non riesce ad avere una interlocuzione utile né in Vendola, né in Berlusconi e né in Ippazzio, all’epoca sindaco di Taranto. Disperato nel 2012 Li Ka Shing fa un giro in Italia: c’è chi vuole vendergli la Telecom, chi il Colosseo ma di Taranto riesce a parlarne solo con Fabrizio Barca, allora ministro della Coesione, che riesce a stento a trattenerlo firmando un accordo proprio per lo sviluppo di Taranto su cui il governo Monti stanzia 300 milioni di euro.

Passa il governo Monti, passa quello Letta e passa buona parte del governo Renzi, ma poco o nulla accade finché nel giugno 2015 Li Ka Shing decide di lasciare Taranto e l’Italia al proprio destino e firma un accordo con i greci per lo sviluppo del Porto del Pireo.

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Da inizio 2017 ogni tanto, quasi in forma clandestina, si parla di vie della seta. Se ne parla a mezza bocca solo per dire che i cinesi hanno deciso di investire sul Pireo, senza mai spiegare il perché, e che le vie della seta passeranno per Trieste e Genova. Ma poiché a Genova non c’è spazio, il porto è schiacciato dalle montagne e andrebbe aperto il cosiddetto terzo valico per aprirlo alla pianura padana, che ancora non si è realizzato, nei fatti rimane solo di Trieste. In altri termini per il Belpaese le vie della seta si riducono ad una misera rotta che dal Pireo, che nel frattempo diventa sia il terminale di una via di terra che dalla Cina arriva al Pireo sia un terminale per le navi che arrivano da Suez, va a Trieste dopo aver movimentato tutte le merci in Grecia e averle messe su navi più piccole. Si salta in questo modo tutta l’Italia.

Ironia della sorte, dopo aver costruito strade in tutto il mondo, l’Italia rimarrà sostanzialmente fuori anche dagli enormi appalti per la costruzione di strade e ferrovie. Infatti, grazie anche agli enormi investimenti fatti da Kohl nelle infrastrutture per unificare le due germanie, in Germania si sono sviluppate imprese di costruzioni in grado di competere nell’acquisizione degli enormi appalti cinesi, mentre l’Italia, che da decenni non investe in infrastrutture, ha perso tutte le grandi imprese, complice anche la chiusura dell’IRI, e dobbiamo contentarci di qualche sub appalto dai tedeschi. Insomma diciamocelo: la nostra imprenditori del settore oggi è quella che si è sviluppata all’ombra della politica e ridacchia quando ci sono i terremoti.

Se dobbiamo essere onesti prima dei cinesi dovevamo essere noi a prendere l’iniziativa e ben prima del 2009. Non era neanche difficile da capire tant’è che l’ho scritto in un piccolo saggio del 2010. Ma mentre la Merkel dal 2005, appena nominata Cancelliera, ad oggi fa continui viaggi in Cina, Berlusconi non ci è mai stato. Prodi c’è stato invece un paio di volte, scatenando anche qualche polemica, e, pur avendo affermato qualche volta l’importanza dei rapporti con la Cina, da primo ministro ha cancellato alcune infrastrutture fondamentali per lo sviluppo del Sud e dei commerci con l’Oriente.

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Perché? Una delle cause di tanto disinteresse per quello che avveniva a Pechino è senz’altro legata al fatto che abbiamo affrontato la globalizzazione con la cultura del localismo: rileggete tutti i libri in merito scritti da Tremonti. D’altro canto una certa intellighenzia di sinistra e di destra molto blasé e poco lungimirante, ma molto velleitaria, ha sempre messo in discussione i rapporti con la Cina perché non democratica o perché comunista, dimenticando però che tutto il resto del mondo ci faceva affari colossali.

Quello che mi sconvolge è che ancora ora di queste cose si continua a non parlarne. Invece sarebbe importante farlo perché dovremmo tentare il possibile e l’impossibile per recuperare il recuperabile. Invece su questa vicenda si trovano solo tracce e per lo più sul web ma non c’è un dibattito televisivo, una presa di coscienza generale e questi temi, che sono fondamentali per il nostro futuro, sono certo che non diventeranno oggetto di discussione nella prossima campagna elettorale. Non c’è nessun partito o movimento che sembra abbia voglia di parlarne, e gli italiani rimangono all’oscuro di tutto. I giornalisti, nei talk show e in infiniti articoli, dovrebbe chiedere conto a tutti i partiti tradizionali di tutto ciò. Dovrebbe chiedere invece al M5S cosa pensa di fare una volta al governo. E invece di che parla? Gossip e chiacchiere su cose marginalissime.

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Ho postato un educato commento sulle vie della seta e su Taranto sulla pagina FB di uno dei più noti giornalisti televisivi del momento: il commento è stato cancellato. Ho scritto anche al vice direttore di una delle più note testate giornalistiche: non ha risposto. Sembra proprio che su questa vicenda di Taranto e dei cinesi si voglia stendere una cappa omertosa.

Come finirà questa storia? Grazie all’investimento cinese sul porto del Pireo il PIL greco inizierà a correre, a noi spiegheranno invece che questo sarà avvenuto grazie alle misure di austerity fatte dallaTroika, e mentre i greci si prenderanno qualche soddisfazione affidando commesse ai cinesi e non alla Germania, e mi risulta lo stiano già facendo, la Troika ringalluzzita sfogherà su di noi il suo inutile sadismo.

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Pubblicato sul tema: Taranto soffocata: la lettera aperta al ministro Delrio di Pietro De Sarlo