L’apostrofo rosa
di “Vin’ a Trani”
Da Adriano Olivetti a Mario Soldati, passando per Molière, Shakespeare ed Hemigway, l'appuntamento di "Vin'a Trani" in punta di naso con Cyrano de Bergerac
Il ritmo disordinato è quello del ‘ticchettio’ di solide macchine da scrivere col nastro inchiostrato nero e rosso, che rimanda all’incessante ascesa del perlage delle migliori bollicine italiane. L’andatura, invece, è quella lenta e posata dell’invecchiamento dei vini nobili o delle pietre secolari, come quelle che segnano l’identità di questa antica città multietnica.
La stessa che cadenzava le scelte coraggiose, attente e coinvolgenti di un grande visionario, Adriano Olivetti, che faceva l’industriale tra le montagne del biellese - circondato dalle colline delle Langhe - ma che sembrava ben saldo sul sagrato della Cattedrale di Trani, con lo sguardo fisso verso un orizzonte largo, profondo e lungimirante che inquadrava quotidianamente un’utopia.
E battuta dopo battuta, in questa atmosfera senza tempo, l'apostrofo rosa di Edmond Rostand diventa la goccia autoctona e sanguigna, per far traboccare di sensazioni ed emozioni il vaso suggestivo della splendida città di Trani, dal terrazzo e dai saloni di Palazzo San Giorgio, sulla darsena più esclusiva di Puglia: di fronte alla meravigliosa Cattedrale romanica sul mare.
Era Galileo Galilei che sottolineava come il vino fosse composto di umore e luce, gli stessi che qui a Trani ti abbracciano e ti travolgono, come i venti del Mediterraneo e che portano con sé l’eco del monito di Charles Baudelaire: “Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”.
Memento in qualche modo completato e reso più incisivo - qualche decennio più tardi - dalla lente stravagante e arguta di Salvador Dalì, che precisava: “I veri intenditori non bevono vino: degustano segreti”. Una prospettiva artistica inebriante, che affondava le radici nei sedimenti crustacei e letterari - proprio come un buon Nero di Troia - dell’intramontabile William Shakespeare: “Oh tu, invisibile spirito del vino, se proprio non hai alcun nome con cui ti si possa chiamare, lascia pur che ti si chiami col nome del demonio!”
E se la memoria giornalistico-letteraria è legata al trittico macchina da scrivere - calice di vino - Ernest Hemigway, per il quale “Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel mondo”, è con l’illustre commediografo d’oltralpe, Molière, che funzione e ruolo del vino riacquistano i canoni sociali della convivialità: “Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro e un buon amico”.
Il calice serba l’ultimo sorso e lo spazio sul foglio a disposizione sta per finire; anche il sole sta completando la sua discesa lungo la facciata di questo scrigno di bellezza e di devozione, per abbracciare e riscaldare l’intera piazza antistante.
Guardo l’invito a questo appuntamento e l’apostrofo rosa di Rostand - che tra i calici “cattedratici” rinnova l’esortazione “Vin’ a Trani” - mi fa pensare che persino Cyrano de Bergerac, in questa città così suggestiva, non avrebbe mosso ciglio se “la mosca fosse saltata al naso”.
Soprattutto se all’ombra di tanto splendore fosse stato rapito da “Extasi”, la Passionata al Moscato di Trani, capace di far tornare, insieme al ticchettio fattosi più assordante, lo stesso Adriano Olivetti - anche solo per un attimo, nella luce accecante e ambrata del sagrato con balaustra - per accogliere l’amico di tastiera, di brume, di calici e di 'toscano', Mario Soldati, per fargli ripetere, ancora una volta, la sua verità senza confini: “Il vino è la poesia della terra”.
(gelormini@gmail.com)
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Pubblicato sul tema: Vin' a Trani, appassionatamente autoctoni tra calici e Cattedrali