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Roma, polmonite fatale per una donna. Accuse al compagno: l'ha lasciata morire

Di Redazione Cronache

Fausto Chiantera, 43 anni, deve rispondere di omicidio volontario aggravato oltre che di cessione di stupefacenti, lesioni e maltrattamenti

Relazione tossica finisce in tragedia: 43enne droga e lascia morire di polmonite la compagna

Amore malato, relazione tossica. Comunque la si voglia chiamare, è finita in tragedia per una donna di 40 anni, lasciata morire di polmonite dal compagno di 43 anni, Fausto Chiatera, dopo tre giorni. Una polmonite che, se segnalata per tempo, poteva essere curata.

E che invece non solo è stata sottovalutata, ma proprio ignorata dall’uomo, ora imputato di omicidio volontario aggravato oltre che di cessione di stupefacenti, lesioni e maltrattamenti ai danni della fidanzata. Invece di chiamare i soccorsi, infatti, Chiatera scattava fotografie da inviare agli amici per chiedere consigli. Ma l’incubo per la donna, riporta il Messaggero , risalirebbe molto tempo prima, dall’inizio della relazione iniziata nel febbraio 2020 fino al 18 gennaio 2022, giorno della morte della donna e dell’arresto di Chiantera.

Una relazione fatta di pugni, insulti, minacce, psicofarmaci e droga, la stessa alla base del festino organizzato dall’imputato il 15 gennaio 2022. Quando la donna, dopo aver preso dell’eroina, inizia a sentirsi male, nessuno chiama il 118.

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Nel capo di imputazione, riporta ancora il Messaggero, si legge che Chiantera si sarebbe limitato “a buttarla a testa in giù dentro il vano doccia, spogliandola e mettendo in lavatrice i suoi vestiti, facendole poi assumere cocaina e sostanze psicotrope, lasciandola in uno stato di incoscienza e di agonia per più giorni e fino al decesso, avvenuto per una broncopolmonite massiva bilaterale”.
Da Google la verità. Sì, perché in quelle interminabili 72 ore Chiantera consulta il web: “Cosa fare in caso di overdose”. Prova che l’uomo sapeva cosa stesse accadendo alla compagna. Una vita ormai in bilico: lui le aveva distrutto il cellulare, costringendola a condividerne uno con lei, la geolocalizzava e registrava le sue chiamate, la picchiava usando una moka. Soprattutto era riuscito a isolarla dagli amici e dalla figlia: di fatto la vittima era in ostaggio, imbrigliata dalle minacce di pubblicare video che la immortalavano in atti sessuali.
Quindi gli psicofarmaci somministrati senza alcuna prescrizione. Una sorta di riduzione in schiavitù che ora torna nei diari portati in aula dalla madre della donna. “Mi ha promesso che non lo farà più”, scriveva la vittima.