Roma
Confessano al telefono: "L'avemo ammazzati noi" Intercettazione scaduta da 26 minuti, niente processo
Confessano di essere i mandanti di un duplice omicidio parlando tra di loro al telefono, senza saper di essere intercettati. Solo che l'autorizzazione per l'intercettazione era scaduta da 26 minuti e quindi la prova non può essere ammessa al processo. Per un cavillo, che forse solo la Rai avrebbe potuto risolvere col trucco dell'orologio tarocco, il processo Orsa Maggiore sugli appalti sporchi di Ostia, perde due potenziali imputati per omicidio.
Siamo nel giugno del 2012, precisamente alle 13,50 del giorno 1 a Ostia. Nella melma di relazioni tra criminali, funzionari pubblici e uomini in divisa, un microfono installato all'interno dell'ufficio tecnico del XIII Municipio intercetta una conversazione tra 4 persone: Armando Spada (boss di un clan che ha seminato la paura sul lungomare di Roma), Cosimo Appeso, ex sottufficiale della Marina Militare, considerato l'uomo ombra di Spada, il dirigente del Municipio Papalini e Alfredo Pollini, altro funzionario comunale. La discussione riguarda le spiagge dove Spada aveva adocchiato il chiosco un tempo appartenuto a Francesco Antonini e Giovanni Galleoni, soprannominati "Bafficchio e Sorcanera"; il chiosco è "La Baia". Al telefono: “Quello è l'unico lotto che non l'ha mai voluto nessuno, lo sai di chi era quello là, no? - dice Spada a Papalini - è de quelli che avemo ammazzato, gli ultimi”. E Papalini replica: “Ora è assegnato a una romena, compagna di un comandante della Guardia di Finanza”. A raccontare la storia incredibile è il Giornale della Provincia, il quotidiano che segue con la massima attenzione le inchieste sul litorale.
Tanto per far comprendere il "profilo" dei personaggi che ruotano intorno a questa vicenda che ha anticipato sul Lido di Roma, Mafia Capitale, davanti all'VIII Sezione penale del Tribunale di Roma, nell'udienza del 28 gennaio due testimoni chiave, gli ex titolari dello stabilimento Orsa Maggiore (che fino al 2012 era gestito dal Cral delle Poste e che successivamente è finito sotto il controllo della famiglia Spada), hanno di fatto ritrattato la testimonianza rilasciata in sede di interrogatorio. Una mossa a sorpresa che però, potrebbe paradossalmente segnare un punto a favore dell'accusa. Negando le intimidazioni e le pressioni da parte del clan inizialmente denunciate, infatti, i testimoni offrirebbero così, su un vassoio d'argento, la possibilità di dimostrare il clima minatorio che tuttora si respira sul territorio; un clima che impedirebbe ai testimoni di dire la verità. I pubblici ministeri, a questo punto, potrebbero addirittura chiedere al Tribunale di acquisire il verbale dell'interrogatorio, affinché diventi elemento probatorio.
Stop al processo al clan Spada. Gli interpreti sinti hanno paura