Roma
Coronavirus: fai la "chemio" all'Umberto I? “Portati la mascherina da casa”
Lo sfascio di Oncologia all'Umberto I: “Ringrazia Dio che ti curiamo”. Il racconto di una malata di cancro al tempo del Coronavirus
di Marina Spada
“Si, ho solo un tumore, non ho il Covid 19. Oggi la mia malattia non riscuote l’interesse della gente, perché non sei un contagiato, ed ha anche l’attenzione limitata dei pochissimi operatori rimasti a lavorare nell’Oncologia B del Policlinico Uberto I di Roma”.
E' il racconto di una paziente del reparto dell’Oncologia B, del noto ospedale romano, con il reparto più contaminato dal Coronavirus tra tutte le strutture operative sul territorio nazionale. Non si capisce ancora bene come sia successo lì dentro, certo è, però, che circa 15, tra dirigenti medici e specializzandi, sono finiti in quarantena, perché contagiati, e ai malati è restata l’assistenza di un personale limitatissimo e molto stressato.
Come racconta questa loro paziente a farne le spese sono proprio loro, i malati che, pur continuando le terapie, lo fanno in un’atmosfera dove il lato professionale e psicologico sembra esser andato in quarantena.
“Mi hanno convocata per sottopormi ad un piccolo intervento per l’istallazione del port, per poi fare le infusioni di chemio, e mi hanno ordinato di presentarmi munita di mascherina, perché loro non ne hanno (forse dimenticando che non le abbiamo neanche noi) e assolutamente sola perché gli accompagnatori non sono ammessi né in sala d’aspetto né in attesa nei viali della struttura aspettando di riprendersi il malato.
Sono giorni difficili per tutti, ed ascoltare il racconto di questa paziente mette in luce diversi aspetti di una problematica, spesso sottovalutata, che è la cura di tutti quei malati che, pur non affetti dal Covid 19, dovrebbero esser curati con ogni attenzione nonostante la loro sopravvivenza non vada in nessun modo ad incrementare le statistiche giornaliere sul virus, salvo contagio.
Come si fa a non prevedere mascherine e guanti per tutti coloro che sono costretti ad entrare in un reparto ospedaliero considerato “zona rossa” del virus. La risposta semplicistica è che questi dispositivi medici mancano e non ce ne sono neanche per gli operatori sanitari, ma questa non può essere una risposta accettabile. I pazienti dell’Oncologia sono per definizione soggetti immunodepressi e pertanto andrebbero preservati da qualsiasi fonte i contagio. Il Policlinico Umberto I delega al paziente il reclutamento di mascherine come se al di fuori della loro struttura esistesse un mercato per acquistarle.
Per non parlare poi del personale che, come detto, sguarnito di circa 15 unità, vede la presenza di pochissimi operatori sanitari (tra medici e infermieri) che sicuramente stressati da un over lavoro appaiono, sin dalle prime ore del mattino, irascibili e spesso approssimativamente informati sulle reali condizioni mediche del malato.
I pazienti sono costretti a respirare un’atmosfera in cui serpeggia, in maniera neanche tanto celata, il messaggio “Ringrazia Dio che ti curiamo ancora”, cosa che mai e poi mai un malato di tumore dovrebbe avvertire nel momento in cui deve prestarsi a ricevere cure così invasive e pesanti quali sono quelle legate a questo tipo di patologia. Il Policlinico Umberto I ha reso, con la sua “organizzazione di questi giorni”, i malati di Tumore pazienti di serie C.