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Roma

di Valentina Renzopaoli

E' Manlio Cerroni show nell'aula Vittorio Occorsio a piazzale Clodio: a tre anni dall'inizio del processo sulla gestione dei rifiuti di Roma e del Lazio, l'ex re di Malagrotta è un fiume in piena. Lucidissimo nonostante i suoi quasi novantuno anni, a tratti leggermente affaticato, vorrebbe parlare per “un mese”. “Mi sono attrezzato con la bottiglietta d'acqua, sono pronto a rispondere a tutte le vostre domande”, dice all'inizio dell'esame da parte dei suoi legali, Bruno Assumma e Alessandro Diddi.


Ma il meglio di sé lo dà quando la parola passa al pubblico ministero, il dottor Alberto Galanti. E' allora che si scioglie, si carica e dal folklore che caratterizza un po' tutta la sua narrazione passa a rivendicare il suo ruolo, la sua “missione”. “Io sono il creatore di un sistema di monnezza a Roma”. E quando il pm lo incalza chiedendo: “E' vero o no che lei ha detto: solo io voglio comandare?” Cerroni risponde senza batter ciglio: “Certo! ma parafrasando Cicerone, come Cicero era sinonimo di eloquenza, io voglio esser sinonimo di immondizia”.

Cerroni inizia il racconto dal 1946
L'esame inizia alle 10 e 16 minuti con una lunga cronistoria di un'era che non c'è più: quando il giovane Manlio per pagarsi gli studi riesce ad entrare in una delle società che gestivano in modo molto artigianale i rifiuti nella capitale. Era il 1946. Le Olimpiadi del Sessanta furono lo spartiacque, il momento in cui il comune di Roma decise di industrializzare il sistema, lanciando un “appalto concorso” per la raccolta e lo smaltimento. La prima società di Cerroni vinse il concorso e nel 1964 realizzò il primo impianto di trattamento industriale.
Fu il primo mattone di un impero della monnezza che ha attraversato in quasi settant'anni oltre una dozzina di amministrazioni comunali, realizzato 52 impianti in tutto il mondo, registrato 75 brevetti legati al settore rifiuti.
L'avvocato Cerroni ha ripercorso le tappe più importanti, ricostruendo scenari, fatti, personaggi. Fino al momento più buio, la chiusura di Malagrotta il 30 settembre 2013 decisa dal sindaco Marino, il periodo successivo del “toto discarica post Malagrotta”, il commissariamento e l'entrata in una vera e propria fase di emergenza.

Roma e i romani devono sapere la verità
“Roma lo deve sapere perché oggi sta in questa situazione, la gente lo deve capire”, ha tuonato Cerroni. “Avevo previsto che senza Malagrotta sarebbe stato un disastro, ho fatto il diavolo a quattro quando Marino ha deciso di chiudere senza un'alternativa. Ci hanno chiesto aiuto per trovare una situazione alternativa, abbiamo fatto le nostre richieste, ma la politica non ha voluto decidere”. E continua: “Avevo acquistato il terreno di Quadro Alto che secondo me poteva essere una soluzione ma alla fine l'allora presidente della Regione Lazio Renato Polverini ha detto chiaramente che una discarica sostitutiva a Quadro Alto non si poteva fare perché era di Cerroni e che tutti i terreni sui cui potevano esserci interessi di Cerroni non potevano essere destinati a discarica. Il prefetto Pecoraro, nominato commissario, avrebbe dovuto e potuto salvare Roma e non lo ha fatto”.

Le responsabilità dei politici
Il professore Bruno Assumma, uno dei due legali di Cerroni, commenta: “Dall'udienza è emerso un quadro importante dal punto di vista storico sulle responsabilità dei politici in relazione al disastro ecologico di Roma: una incapacità di risolvere il problema quando molti anni fa Cerroni aveva manifestato la preoccupazione sui rischi che poi effettivamente sono diventati realtà. La classe politica non è stata in grado di prevenire la situazione o forse non c'è stata la volontà di prendere decisioni. Fino ad oggi i mass media hanno attribuito la causa dell'attuale disastro in tema di rifiuti a Cerroni e credo che la ricostruzione di oggi abbia chiarito che così non è”.

Spagnoli, Di Carlo, Caltagirone e Cicerone
Il pubblico ministero ha rivolto a Cerroni domande su alcuni dei personaggi cardine della maxi inchiesta. Di Arcangelo Spagnoli, considerato dalla Procura di Roma figura chiave del “sistema Cerroni”, morto nel 2012, Cerroni racconta: “Lello Spagnoli? Non era nessuno...contava poco o nulla...lui credeva di essere chissà chi...ma non contava. A sentire lui, avrebbero dovuto dargli un “laticlavio”.
Mario Di Carlo? “Era una persona per bene e soprattutto un uomo del fare, c'è chi chiacchiera e chi realizza, di Carlo era uno che faceva quel che diceva. E su colui che Cerroni reputava quasi un figlio, Cerroni si è tolto un sassolino che evidentemente aveva da tempo nella scarpa: “Di carlo era parecchio inviso a Caltagirone, e lo sa perché? Perché gli aveva arrecato un grosso danno quando era nella giunta Veltroni come assessore alla Mobilità, quando s'impuntò per assegnare i lavori della metro C a gara pubblica impedendo l'assegnazione diretta, Caltagirone se la legò al dito.
Alla fine è lui che si congeda tutti e stabilisce che l'udienza è finita: “Vabbè! Abbiamo finito?? un saluto a tutti...” si alza e se ne va.

Prossima udienza lunedì 15 maggio: a salire sul banco degli imputati sarà Luca Fegatelli, l'ex dirigente dell’Area Rifiuti della Regione Lazio.

IL PROMEMORIA DI MANLIO CERRONI AI GIUDICI

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