Roma

E' partita la caccia all'oro come nel 2008: un antidoto all'inflazione. Il caso Italia diviso tra risparmio e investimenti congelati

di Alberto Frau

L'economista indignato. Nonostante periodiche proposte politiche di vendita di quote delle riserve per risanare il debito, finora è stato mantenuto un approccio di “immobilismo aureo”

Incremento del Prezzo dell'Oro: Analisi e Implicazioni per l'Italia

Introduzione

Negli ultimi tempi, il prezzo dell’oro ha registrato un incremento che non si vedeva dai tempi della crisi finanziaria del 2008. Questo articolo intende evidenziare l’importanza dell’oro nel panorama internazionale, sottolineando anche la sua rilevanza per l’Italia, in bilico tra tradizione di accumulo e necessità di un rinnovamento delle politiche economiche e finanziarie.

Le cause dell’incremento: l’oro come rifugio e speculazione

Tra le cause principali, spicca la crisi geopolitica: in seguito alla guerra in Ucraina e alle tensioni nei rapporti commerciali tra Cina e Stati Uniti, gli investitori percepiscono l’oro come un modo per preservare valore. In una tale prospettiva, la debolezza del dollaro – valuta di riferimento per le quotazioni aurifere – rappresenta un fattore incisivo tanto che a livello internazionale, persino le banche centrali hanno incrementato le proprie riserve auree, per sottrarsi all’influenza del dollaro. Ma, a ben vedere, questo non è l’unico aspetto. L’inflazione e le (conseguenti) politiche delle banche centrali rappresentano un binomio che ha influenzato (e influenza tuttora) profondamente il mercato dell’oro, aggiungendosi alla forte instabilità economica. L’aumento dell’inflazione stimola la domanda di oro in due modi principali: attraverso il suo ruolo di bene rifugio e tramite l’effetto indiretto delle politiche restrittive delle banche centrali. Esploriamo in dettaglio questo ciclo.

Inflazione come incentivo alla domanda di oro

Quando i prezzi al consumo aumentano, il potere d’acquisto delle valute tradizionali – euro, dollaro, yen – tende a diminuire, erodendo i risparmi e i redditi fissi. L’oro, per sua natura, è percepito come una riserva di valore che protegge dall’inflazione. Questo avviene perché, a differenza delle monete, il valore dell’oro non è vincolato a un’autorità emittente e non può essere svalutato tramite politiche di espansione monetaria. Di conseguenza, durante i periodi inflattivi, la domanda di oro tende ad aumentare, in quanto famiglie e investitori cercano di proteggere il proprio capitale.

Un esempio recente è l’inflazione post-pandemia, alimentata dalla crisi energetica, dalla rottura delle catene di approvvigionamento e dagli interventi espansivi che le banche centrali hanno effettuato per sostenere le economie durante la pandemia. Quando questi stimoli si sono trasformati in pressione inflazionistica, l’oro è tornato in auge come forma di protezione.

Gli effetti indiretti sull’oro causati dalle politiche monetarie restrittive

Per contrastare l’inflazione, le banche centrali – tra cui la Federal Reserve (Fed) negli Stati Uniti e la Banca Centrale Europea (BCE) – tendono ad aumentare i tassi di interesse, rendendo il denaro più costoso e disincentivando così prestiti e spese. Tuttavia, queste politiche restrittive comportano rischi di recessione economica, un fattore che paradossalmente aumenta la percezione di rischio e quindi la domanda di beni rifugio, tra cui l’oro.

In questo scenario, le obbligazioni e i conti bancari diventano meno appetibili rispetto all’oro, in quanto il rischio di recessione limita l’attrattività dei rendimenti nominali elevati. Gli investitori, infatti, temono che il valore reale di questi strumenti si eroda, qualora la crescita economica rimanga debole o in stallo. L’oro, al contrario, non offre rendimento, ma la sua stabilità lo rende un’alternativa attraente, specie durante fasi di alta incertezza.

Banche centrali e domanda di oro: una mossa strategica

Anche le stesse banche centrali partecipano a questo ciclo, rafforzando la domanda di oro. In contesti inflazionistici, gli istituti centrali possono decidere di incrementare le proprie riserve auree come misura di stabilizzazione, soprattutto per diversificare il proprio bilancio e ridurre la dipendenza dal dollaro. Di fatto, la diversificazione valutaria, con un aumento delle riserve d’oro, funge da scudo rispetto alla volatilità del dollaro, che in periodi inflattivi è particolarmente vulnerabile.

Negli ultimi anni, le banche centrali di diversi Paesi, in particolare in Asia e Medio Oriente, hanno seguito questa linea. Gli investimenti di riserva in oro da parte di Cina, Russia, India e paesi del Golfo riflettono una strategia volta a minimizzare l’esposizione al dollaro e a compensare la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione. Tale domanda istituzionale crea un ulteriore impulso rialzista nel prezzo dell’oro, che diventa così oggetto non solo dell’interesse di risparmiatori e investitori privati, ma anche di decisioni strategiche a livello internazionale.

Il ciclo di domanda dell’oro: un equilibrio instabile

Ne consegue che il ciclo di domanda per l’oro, in un contesto come quello delineato, appare come una catena di reazioni dove:

  • L’inflazione aumenta → cresce l’interesse per beni rifugio come l’oro;

  • Le banche centrali alzano i tassi di interesse → aumenta il rischio recessivo e la preferenza per beni stabili;

  • Le stesse banche centrali acquistano oro per rafforzare le proprie riserve.

Questo ciclo è complesso e spesso “auto catalitico”: quando l’inflazione sembra essere duratura, la domanda per l’oro tende a stabilizzarsi su livelli elevati, poiché risparmiatori e investitori continuano a vedere l’oro come la migliore copertura contro una perdita di potere d’acquisto a lungo termine. La durata e l’intensità di questo ciclo dipendono dalle prospettive economiche: in un contesto in cui l’inflazione diventa persistente e le politiche restrittive non producono risultati immediati, la domanda di oro può mantenersi elevata per anni, creando un circolo virtuoso di sostenibilità del prezzo aureo.

L'Italia e il ruolo delle riserve auree

In Italia, il quadro si arricchisce di peculiarità. La quantità di oro detenuta dalla Banca d’Italia – riportata nei dati del World Gold Council (WGC), l’organizzazione internazionale che monitora le riserve auree mondiali – confermata, anche dalla stessa Banca d’Italia, si attesta oltre 2.400 tonnellate di oro custodite presso la Banca delle Banche, collocando il nostro Paese al terzo posto mondiale per riserve aurifere dopo Stati Uniti e Germania (sic). Questo patrimonio, storico e significativo, funge da asset strategico, pur non essendo disponibile per politiche di liquidità immediata. L’aumento di valore dell’oro, quindi, ha un doppio impatto: arricchisce formalmente il bilancio nazionale, aumentando il valore delle riserve, ma tale patrimonio resta "in cassaforte" e non può essere utilizzato direttamente per finanziare debito o interventi economici.

Il caso italiano si distingue anche per l’atteggiamento conservativo: nonostante periodiche proposte politiche di vendita di quote delle riserve per risanare il debito, finora è stato mantenuto un approccio di «immobilismo aureo». Questo ha contribuito a consolidare l’oro come riserva patrimoniale strategica, un vero scudo contro svalutazioni improvvise dell’euro.

Le implicazioni per l’economia italiana derivanti dall’incremento del prezzo dell’oro

L’incremento del valore dell’oro, in Italia, crea una situazione ambivalente. Da un lato, l’aumento del prezzo contribuisce positivamente alle riserve, garantendo un cuscinetto di sicurezza in caso di turbolenze finanziarie. Tuttavia, la crescente corsa all’oro in ambito retail ha indotto un mercato parallelo e talvolta speculativo. Anche i risparmiatori italiani, come quelli statunitensi e tedeschi, di fronte a tassi di interesse bassi e ai timori di svalutazione, cercano rifugio acquistando lingotti e monete, incentivati anche dalla tradizione storica di considerare l’oro come un bene rifugio intergenerazionale.

Questa tendenza porta a due conseguenze: un rallentamento della propensione all’investimento in strumenti di rischio, come azioni e obbligazioni, e un ulteriore peso sui flussi di risparmio che finiscono fuori dai circuiti produttivi. Nonostante l’acquisto di oro rappresenti una scelta conservativa, tale liquidità sottratta ai mercati tradizionali contribuisce a ridurre gli investimenti domestici.

Conclusioni

L’oro, quindi, assume un ruolo chiave come barometro della fiducia economica e della stabilità geopolitica. Nel contesto attuale, questo incremento nei prezzi riflette le tensioni e le insicurezze che attraversano tanto l’economia globale quanto quella italiana, legata a doppio filo all’andamento dell’euro e al peso del debito pubblico.

Con riferimento al nostro Paese, nel lungo termine, il valore dell’oro rappresenta anche una sfida per la gestione economica italiana, costretta a fare i conti con una sempre maggiore polarizzazione tra chi riesce a diversificare in beni rifugio e chi, invece, resta dipendente dai classici strumenti di risparmio, erosi dall’inflazione. In quest’ottica, il mercato dell’oro diventa un terreno dove convergono esigenze di sicurezza patrimoniale e spinte speculative, un vero e proprio termometro del disagio economico e delle paure che agitano il tessuto economico italiano. Urge silenziare?

Nota di cronaca: la quotazione dell’oro di martedì 29 ottobre è di 81,75 euro al grammo per il 22 carati. +35% da inizio anno.

Alberto Frau è professore di Economia e gestione aziendale - Revisore legale e analista indipendente - Scrittore e saggista. Ricercatore universitario nell'Università di Roma "Foro Italico" è altresì professore a contratto in differenti master post laurea presso la Luiss Business School.

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