Roma
Enrico Vanzina, re dei cinepanettoni, racconta la Roma brutta e corrotta
Enrico Vanzina firma il giallo “La sera a Roma” e racconta la sua dolce vita in salsa noir
di Patrizio J. Macci
Enrico Vanzina “figlio d’arte” (il papà era il grandissimo regista Steno), sceneggiatore, scrittore e giornalista approda alla Mondadori e firma un romanzo dove fa rivivere la “dolce vita” romana in salsa noir, “La sera a Roma”.
Uno dei gialli più atipici dal punto di vista dell’impianto narrativo dopo “Il pasticciaccio” di Gadda mai pubblicati in Italia. Vanzina fa raccontare la storia in prima persona da Federico, alter ego dello stesso Vanzina, uno sceneggiatore che si muove nella Roma contemporanea con la quale ha un rapporto di amore-odio per la sua decadenza, tra produttori cinematografici, politici, giornalisti ed esponenti della nobiltà nera papalina.
Il pretesto da cui ha inizio la vicenda è la classica richiesta italiana di una raccomandazione: Bassani, uomo d'affari conosciuto a un evento mondano, chiede a Federico di incontrare un suo giovane “protege”, Domenico Greco, aspirante attore emigrato a Roma dal sud in cerca di fama, per capire se sia possibile concedergli una chance nel mondo del cinema.
Allo sceneggiatore il ragazzo appare privo dei requisiti essenziali per una carriera nel mondo degli attori, ma poche ore dopo il loro colloquio il giovane viene ucciso in maniera cruenta. Federico segue gli sviluppi dell'indagine, è l’ultimo ad averlo visto in vita, fino a trovarsi implicato in una trama romanzesca che finisce per avvilupparlo, tra relazioni sentimentali impensabili, invidie, gelosie e vendette sempre dietro l’angolo che un attento e riflessivo commissario di polizia Margiotta e Maselli, un “nerista” del quotidiano Il Messaggero, cercano di sbrogliare ognuno con gli strumenti che ha a disposizione. Il finale spiazza il lettore che fino all’ultima pagina vede solo il caos e anche quando sembra aver afferrato il bandolo della matassa, stringendo il pugno si ritrova con la sabbia delle parole che scivolano via.
Un affresco disincantato della Capitale contemporanea e della sua “grande bruttezza” con alcuni camei riservati a protagonisti del cinema italiano che l’autore ha conosciuto, con alcune sottilissime allusioni a Fruttero & Lucentini (un personaggio si allontana dalla scena del delitto acconciata alla maniera di uno dei protagonisti de “La Donna della Domenica”). Forse solamente una memoria inconscia rimasta nella penna dell’autore e rimbalzata sulla pagina bianca, ma non lo sono le perle di saggezza cinematografica e di tecnica narrativa che l’autore dissemina nel racconto mettendole in bocca ai protagonisti: consigli preziosi da centellinare con cura, frutto della sedimentazione dell’esperienza artigianale di chi ha costruito decine di film di successo.