Roma

Mafia Capitale, a Roma fu “semplice associazione a delinquere”. È Cassazione

Ecco le motivazioni della sentenza con cui, nell'ottobre scorso, la sesta sezione penale ha escluso il carattere mafioso dell’associazione di Buzzi e Carminati

Mafia Capitale fu “una semplice associazione a delinquere, una collusione generalizzata, diffusa e sistemica”. Addio al teorema dell'ex capo della Procura, Giuseppe Pignatone, e ad un'indagine che ha gettato fango su Roma.

Lo spiega la Cassazione nelle motivazioni della sentenza, lunga 379 pagine, con cui il 22 ottobre scorso ribaltò la decisione della Corte d'Appello facendo cadere in un solo colpo l'accusa di 416 bis per tutti gli imputati, Salvatore Buzzi e Massimo Carminati compresi.

La Corte Suprema ha confermato che a Roma la mafia esiste ma il “Mondo di mezzo” non ne fa parte perché formato da due distinte associazioni per delinquere semplici: l’una dedita prevalentemente a reati di estorsione, l’altra facente capo a Buzzi e Carminati, impegnata in una continua attività di corruzione nei confronti di funzionari e politici gravitanti nell’amministrazione comunale romana ovvero in enti a questa collegati.

"La Corte - si legge in una nota diramata dalla Cassazione, che anticipa i contenuti delle motivazioni - senza affatto negare che sul territorio del comune di Roma possano esistere fenomeni criminali mafiosi, come questa Corte ha avuto modo di affermare, ha spiegato che i risultati probatori hanno portato a negare l’esistenza di una associazione per delinquere di stampo mafioso: non sono stati infatti evidenziati né l’utilizzo del metodo mafioso, né l’esistenza del conseguente assoggettamento omertoso ed è stato escluso che l’associazione possedesse una propria e autonoma 'fama' criminale mafiosa".

"Quello che è stato accertato – prosegue – è un fenomeno di collusione generalizzata, diffusa e sistemica, il cui fulcro era costituito dall’associazione criminosa che gestiva gli interessi delle cooperative di Buzzi attraverso meccanismi di spartizione nella gestione degli appalti del Comune di Roma e degli enti che a questo facevano capo. Ciò ha portato alla svalutazione del pubblico interesse, sacrificato a logiche di accaparramento a vantaggio di privati".

La Cassazione poi spiega un dettaglio fondamentale, ovvero quello del coinvolgimento dell'amministrazione comunale: "Il quadro complessivo riporta un 'sistema' gravemente inquinato, non dalla paura, ma dal mercimonio della pubblica funzione. Una parte dell’amministrazione comunale si è di fatto 'consegnata' agli interessi del gruppo criminale che ha trovato un terreno fertile da coltivare. I fatti 'raccontano' anche di imprenditori che hanno accettato una logica professata da Buzzi e dai suoi sodali, basata sugli accordi corruttivi, intercorsi tra funzionari pubblici e imprenditori, convergenti verso reciproci vantaggi economici. In questo modo si è limitata la libera concorrenza e ciò è avvenuto attraverso forme di corruzione sistematica, non precedute da alcun metodo intimidativo mafioso".

I legami di Buzzi e Carminati

"Appare evidente dalla semplice lettura della sentenza di secondo grado - aggiunge ancora la Cassazione -, che non risulta affatto il ruolo di Massimo Carminati quale terminale di relazioni criminali con altri gruppi mafiosi. Nessun ruolo era gestito da Carminati con settori finanziari, servizi segreti o altro; la gestione delle relazioni con gli amministratori era compito quasi esclusivo di Salvatore Buzzi, avendo Carminati relazioni determinanti solo con alcuni ex commilitoni nella medesima area politica di estrema destra che, in un dato periodo, erano stati inseriti nell'amministrazione comunale. Volendo ricorrere a una metafora, può dirsi che una parte del 'palazzo' non è stata conquistata dall’esterno, dalla criminalità mafiosa, ma si è consapevolmente consegnata agli interessi del gruppo che faceva capo a Buzzi e Carminati, un gruppo criminale che ha trovato terreno fertile da coltivare". Per la Cassazione, insomma, non ha trovato fondamento l'idea, avallata dai giudici di merito, che Carminati e il suo gruppo avessero "contatti significativi" con il clan dei fratelli Senese, con il clan Casamonica, con Ernesto Diotallevi (esponente della cosiddetta banda della Magliana e tramite del sodalizio con la mafia siciliana di Pippo Calò), e con il clan dei Santapaola, come raccontato da un collaboratore di giustizia.

Quanto era stato deciso dalla stessa Suprema Corte in sede cautelare non ha poi trovato riscontro in sede dibattimentale. "La sentenza della corte di appello - cui viene di fatto attribuito un 'errore di impostazione' - certamente doveva fare riferimento a quanto già affermato dalle decisioni emesse in sede cautelare da questa Corte di Cassazione per la parte in diritto, in cui si rammentavano principi fondamentali in tema di associazioni mafiose delocalizzate, ma non poteva utilizzarla per ritenere automaticamente provata la sussistenza di una associazione mafiosa nel caso di specie", si legge nelle motivazioni.

Buzzi e le infiltrazioni nelle istituzioni

Salvatore Buzzi "aveva creato uno stabile sistema di infiltrazione nelle istituzioni in base a cui i Dipartimenti, i Municipi e gli altri centri di costo di Roma Capitale per la gestione dei servizi fecero ricorso sistematico alle proroghe non previste nel bando originario e ad affidamenti diretti in favore delle cooperative dello stesso Buzzi ostacolando la libera concorrenza e alterando la possibilità di accesso alle gare di appalto e la regolarità del loro svolgimento".

"Il gruppo di Buzzi, attraverso la remunerazione (sovvenzioni per cene ed eventi, assunzione di assoggetti raccomandanti, scambi di favori, vere e proprie tangenti) di politici appartenenti sia alla sua area di riferimento sia allo schieramento opposto, riusciva a sollecitare finanziamenti pubblici e poi in concreto l'affidamento dei servizi finanziari, riuscendo negli anni ad ottenere le proroghe delle precedenti assegnazioni", si legge ancora nella sentenza. Recependo quanto affermato a suo tempo dal tribunale, la Suprema Corte ricorda poi che "il gruppo di gestione delle cooperative di Buzzi, per la presenza di uno stabile programma di ricorso ai reati di corruzione, turbativa d'asta e quant'altro per l'espansione nel proprio settore economico di interesse, avesse costituito un'associazione per delinquere alla quale, alla fine del 2011, si aggregò anche Carminati iniziando una collaborazione con Buzzi".

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