Roma
Ridere per non rimanere sepolti su Marte. Ecco lo spazio secondo Ridley Scott
di Alberto Berlini
“Sono sopravvissuto mangiando patate coltivate sul suolo marziano concimato con le mie feci”. Sì, questo è il dialogo choc che Mark Watney, alias Matt Damon, pronuncia davanti ad una classe di aspiranti astronauti, lui che, da Marte è tornato vivo dopo essere diventato il primo Robinson Crosue dell'era spaziale. Un finale da svelare subito perchè in un film come “The Martian” il finale non è di certo un evento a sorpresa, come non lo era in Apollo 13, film da cui il nuovo masterpiece di Rideley Scott pesca a piene mani.
Il geniale regista del Galdiatore ma anche di Balde Runner e del primo Alien torna a puntare la cinepresa verso lo spazio e come in ogni fantamovie che si rispetti se il finale non può essere la sorpresa, il modo in cui la trama si sviluppa è tutto un susseguirsi di colpi di scena: in termini tricolore lo spasso sta nello scoprire quanto il genio della mente umana riesca ad adattarsi ad una condizione estrema come quella di ritrovarsi abbandonati su Marte, con poco cibo, e a milioni di chilometri dall'unica possibilità di salvezza.
Se Marte ha alimentato l'immaginazione dell'uomo per millenni, le immagini del film risultano quasi quelle di uno spazio familiare, grazie alle immagini che ci arrivavano in decenni di esplorazione spaziale dai robot, sonde e rover. Il film, che esce a pochi giorni dalla notizia della scoperta dell'acqua sulla superfice del pianeta rosso, nell'euforia di una possibilità in più per una missione umana, indaga la possibilità di costruirvi colonie.
Basandosi sul successo internazionale dello scrittore di fantascienza Andy Weir, The Martian, ha il pregio di sposare in modo efficace la finzione e la realtà, perché per la ricostruzione di alcuni ambienti, strumenti e tecnologie Weir ha preso spunto dal lavoro che la NASA ha fatto e sta facendo per le missioni di esplorazione spaziali, sia attuali sia future. Complice il fatto che le vicende del film si sviluppano in un futuro vicino, fra vent'anni circa, in molti casi non c'è stato bisogno di cavalcare troppo l'immaginazione per descrivere le tecnologie che verranno usate.
“E’ una storia di sopravvivenza estrema - spiega il regista Ridley Scott - Mark Watney è isolato e sottoposto a stenti inimmaginabili. Il film racconta il modo in cui deve far fronte a questa situazione. Il suo destino dipende da come reagirà: se si lascerà andare al panico e alla disperazione, accettando una fine inesorabile, oppure se sfrutterà le risorse a sua disposizione, facendo leva sulle sue abilità, il suo senso dell’umorismo e la sua capacità di risolvere i problemi”.
Ritenuto morto in seguito a una devastante tempesta di vento su Marte che ha provocato un’improvvisa evacuazione, Watney si risveglia, ferito e completamente solo; per continuare a vivere e non diventare la prima vittima umana sul pianeta marziano, deve reagire immediatamente, pur sapendo che i soccorsi distano anni luce da lui.
L’umorismo di Watney diventa uno strumento per affrontare le ostilità, un modo che gli consente di accantonare la disperazione e di non pensare alle circostanze estreme in cui si trova. La sua propensione all’ottimismo è fondamentale in questa storia, ed è una delle caratteristiche del personaggio che ha convinto Matt Damon ad accettare il ruolo.
“Watney è un botanico e un ingegnere meccanico, inviato su Marte per studiare e rilevare campioni di terreno, nella speranza di scoprire la sua composizione e se è possibile renderlo coltivabile. È stato addestrato a sopravvivere, ma non ha molto tempo a disposizione. Immagina che ci vogliano 3 o 4 anni prima che possano soccorrerlo. Nella lotta fra uomo e natura, di solito è la natura ad avere la meglio”.
La battaglia più importante che Watney deve combattere, riguarda la sua volontà. Lasciarsi andare alla disperazione sarebbe deleterio quanto l’ostile ambiente marziano. Watney tiene un diario di bordo ‘visivo’ e, immaginando che possa diventare il suo testamento, lo arricchisce di dati scientifici e di una bella dose di ironia.