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Champions League: la finale Bayern Monaco-PSG scatena i gufi del "tifo contro"

Lorenzo Zacchetti

Soldi, Covid-19, rivalità storiche e di recente tradizione: ecco perché in Germania e in Francia ci si divide tra tifosi di Lewandowski e Neymar

La finale di Champions League 2020 PSG-Bayern si gioca domenica 23 agosto 2020 allo stadio Da Luz di Lisbona, con inizio alle ore 21.00 e diretta su Sky sui canali Sky Sport Uno (201 del satellite e 472 del digitale terrestre), Sky Sport Football (203 del satellite) e Sky Sport (251 del satellite), nonchè in chiaro su Canale 5 e in streaming su Sky Go e Mediaset Play

 

 

La finale di Champions League 2020 entrerà certamente nella storia e non “solo” perchè si disputa il 23 agosto, al culmine di una stagione stravolta dal Covid-19. Un ulteriore tratto di discontinuità è rappresentato dall'inedita sfida tra Paris Saint-Germain e Bayern Monaco. 

Se i tedeschi sono all'undicesima finale della loro storia, la terza negli ultimi dieci anni, i francesi vi sono arrivati per la prima volta, coronando almeno in parte il sogno del loro ricchissimo presidente, lo sceicco Nasser Al-Khelaifi. Nel giugno del 2011 la sua Qatar Sports Investments ha acquisito la proprietà del club, immettendovi cifre astronomiche per trasformare una squadra di secondo piano in una delle regine d'Europa. Fino ad ora, il progetto è riuscito solo in parte: i parigini hanno letteralmente dominato la scena in Francia, vincendo il campionato nelle ultime sette edizioni, più cinque Coppe di Francia, sei Coppe di Lega e sette Supercoppe di Francia, ma in Champions League prima di quest'anno non erano mai andati oltre i quarti di finale. 

Lo sa bene anche Buffon, che nella stagione 2018/19 ha difeso i pali del PSG nella speranza di agguantare l'agognato trofeo, ma ha visto i suoi sogni infrangersi: proprio un suo errore è risultato decisivo sul gol di Romelu Lukaku, che ha contribuito all'eliminazione negli ottavi da parte del Manchester United. Ci vorrebbe un elenco del telefono per citare tutti i grandi nomi acquistati da Al-Khelaifi: da Thiago Silva a Ibrahimovic, da Mbappè a Icardi, sono stati staccati assegni pari al PIL di alcuni stati di media grandezza. In occasione dei quarti di finale contro l'Atalanta, i media internazionali hanno messo in evidenza come il faraonico ingaggio del solo Neymar (36 milioni di euro netti) corrispondesse alla somma di quelli di tutta la rosa orobica. 

Proprio questo improvviso arricchimento ha generato un clima ostile nel resto del calcio francese, ben poco felice di essere letteralmente dominato da dei parvenù con scarso blasone. Infatti, mentre la maggioranza dei club francesi è stata fondata a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento del secolo scorso, il PSG ha visto la luce solamente cinquant'anni fa: il 12 agosto del 1970, come frutto della fusione tra il Paris F.C. e lo Stade saint-germanois, che prendeva il suo nome della regione Saint-Germain-en-Laye, 19 km ad ovest della Capitale. Il nuovo club è rimasto piuttosto anonimo fino al 1986, anno del suo primo titolo nazionale, per poi rilanciarsi con l'ingresso di Canal+ nel capitale sociale. Negli anni Novanta, grazie a campioni come Weah, Ginola e Raì, il PSG ha vinto un altro campionato, otto coppe nazionali e la Coppa delle Coppe del 1996, che ad oggi rimane il suo unico trofeo internazionale. 

All'inizio del Millennio, turbolente vicende societarie legate al passaggio sotto l'ombrello di Vivendi hanno comportato il declino del club, che è stato costretto a cedere il suo unico gioiello, Ronaldinho, al Barcellona. Una parabola discendente che ha toccato il fondo con le retrocessioni evitate per un soffio in un paio di occasioni e che poi si è invertita proprio con l'arrivo dello sceicco. 

È fin troppo evidente il peso dei petroldollari nell'ascesa europea del PSG, ragione che spinge molti tifosi a contestare Neymar e compagni quale espressione di quella mercificazione del calcio che certo non risparmia nemmeno la Germania. 

Un caso clamoroso è quello del Lipsia, passato in soli sette anni dalla serie D a sfiorare la finale di Champions: è stato proprio il PSG a batterlo in semifinale. A finanziare la trasformazione è stata la Red Bull, proprietaria del club dal 2009. La bibita energetica ha anche cambiato il nome della società, ribattezzandola appunto “Red Bull Leipzig”. Siccome le regole della Uefa impediscono il naming dei club in base allo sponsor, si è trovato un escamotage bizzarro chiamando la squadra “RB Liepzig”: ufficialmente quell'RB sta per “RasenBallsport” (“sport con la palla sul prato”), ma la verità è il classico segreto di Pulcinella. 

Ancora più netta è l'opposizione dei tradizionalisti tedeschi all'Hoffenheim, il cui presidente Dietmar Hopp è letteralmente odiato proprio per aver costruito una squadra dal niente, dimostrando che ormai i soldi sono l'unica cosa che conta nel Fussball. Lo scorso marzo, prima del lockdown, la partita casalinga contro il Bayern è stata interrotta per l'ennesimo diluvio di insulti nei suoi confronti, che ha spinto i giocatori a fermarsi per protesta. La figura di Hopp è stata parzialmente riabilitata proprio per via del Covid-19: essendo anche proprietario dell'azienda farmaceutica Curevac, ha opposto un secco rifiuto a Donald Trump, pronto a pagare qualunque cifra per avere l'esclusiva su un futuro vaccino. Chissà se basterà a fermare le contestazioni negli stadi, una volta riaperti.

I gufi tedeschi non mancheranno di tifare contro il Bayern, chiamato nuovamente a rappresentare la Germania nella finalissima europea. Ai bavaresi, tuttavia, nessuno può rimprovare la scarsa tradizione, essendo sulla cresta dell'onda da ben 120 anni. Con trenta titoli della Bundesliga in bacheca, dei quali gli ultimi otto vinti consecutivamente, il loro dominio va molto oltre la questione economica: semplicemente, il Bayern sta giocando un campionato a se' stante, con molti punti in contatto con la Juventus. 

Rispetto ai bianconeri, però, il feeling con l'Europa è decisamente più intenso: i bavaresi hanno vinto cinque Champions, tre titoli mondiali, più un'Europa League, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea, oltre ad altre 33 coppe nazionali. Nel loro caso, le rivalità hanno poco a che fare con l'ostilità al “calcio moderno”, ma al contrario affondano le radici nella storia. I più ostili nei confronti del Bayern sono ovviamente i cugini del Monaco 1860, la cui tifoseria ha una base sociale più “proletaria” rispetto a quella degli ingombranti vicini di casa. A livello regionale, il Bayern ha un altro competitor nel Norimberga e ogni edizione del “derby della Bavaria” è sempre molto sentita. A livello nazionale, i più accaniti rivali del Bayern sono i club che nei vari cicli storici gli hanno contesto la supremazia nella Bundesliga: negli anni '70 era principalmente l'Amburgo, poi è toccato man mano a Werder Brema, Bayer Leverkusen, Schalke 04 e Borussia Dortmund. Insomma, sono proprio tanti i tedeschi che hanno almeno un motivo per augurarsi un successo del PSG, così come lontano da Parigi molti francesi sperano nella vittoria del Bayern: il “tifo contro” non è certo solo un fenomeno italiano, anzi.

 

Dal 4 settembre sarà in vendita il libro di Lorenzo Zacchetti “Cambiare il mondo con un pallone - Da Nelson Mandela a Megan Rapinoe, da Diego Maradona a Che Guevara: quando in gioco c’è l’identità”, pubblicato da Ledizioni (www.ledizioni.it). Nel testo si esplora la stretta relazione tra le squadre di calcio le questioni sociali, politiche ed economiche dei rispettivi territori di riferimento

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