Affari Europei
Ue, il divide et impera di Xi. Sulla Cina si gioca il futuro di Bruxelles
Le preoccupazioni e il futuro dei rapporti tra Europa e Cina
Il Meeting di Sofia del 2018 e i suoi precedenti
Il 7 e 8 luglio 2018 si è tenuto a Sofia, in Bulgaria, il settimo meeting tra Cina e i cosiddetti “16+1”, gruppo di Paesi europei composto dal blocco dei “CEEC” (Central and Eastern European Countries), più quelli Balcanici e Baltici, che hanno deciso di unirsi in questo format innovativo con la Repubblica Popolare Cinese. Undici di essi sono membri dell'Unione Europea (i CEEC, i Baltici e la Slovenia), mentre nel caso di Serbia, Montenegro, Albania e Macedonia è stato attivato il processo di adesione alla UE, e la Bosnia Erzegovina ha avanzato la propria richiesta di far parte dell’Unione nel 2016. Il format, noto inizialmente anche come “Iniziativa di Varsavia”, fu lanciato nel 2012 durante la visita del Premier cinese Li Keqiang nella Capitale polacca. Da allora l'Europa ha ospitato i meeting di Bucarest nel 2013 e Belgrado nel 2014, mentre nel 2015 i leader dei "16" si sono recati a Suzhou, città della Provincia del Jiangsu, situata lungo la riva del Fiume Azzurro. L’ultimo appuntamento si è tenuto invece a Budapest, nel novembre dello scorso anno.
Legati alla Cina dall'ideologia durante tutta la Guerra Fredda, i “16” rappresentano oggi un blocco di riferimento economico/politico per Pechino nel contesto regionale europeo, così come un mercato in espansione che può garantire affari e contratti agli imprenditori cinesi. Da parte sua la Cina non ha fatto nulla per mascherare il proprio interesse verso il gruppo di Paesi, incentivando la cooperazione economica, diplomatica e culturale, stimolando gli investimenti dei propri “campioni nazionali” nei loro mercati e sviluppando nei "16" progetti infrastrutturali legati al piano della "Belt and Road Initiative".
Dai media cinesi gli incontri dei "16" sono stati presentati come un'opportunità per rafforzare le relazioni sino-europee e sviluppare una cooperazione "win-win".
Gli accordi del meeting in Bulgaria
Nei due giorni del Summit di Sofia, come evidenziato da China Daily, la Cina ha firmato più di venti accordi con i “16”, per favorire la cooperazione bilaterale nel contesto della Belt and Road Initiative, nei settori dei trasporti, infrastrutture, parchi industriali, finanza, healthcare, educazione e agricoltura. Li Keqiang ha annunciato che le importazioni in Cina dei prodotti dei “16” saranno incentivate, alla ricerca di un bilanciamento della bilancia commerciale tra gli due parti. Nei prossimi mesi saranno quindi rafforzati i controlli doganali, i collegamenti ferroviari tra le due parti dell’Eurasia, si punterà molto sull’aumento del livello di scambi commerciali (nel 2017 esso ha rappresentato soltanto l’11% del totale di scambi tra Cina e Europa), mentre anche per quanto concerne gli investimenti bilaterali sarà necessario un bilanciamento (la Cina negli ultimi anni ha investito circa 10 miliardi di dollari nei “16”, a fronte di 1,4 miliardi provenienti dai Paesi europei coinvolti). Più che per i risultati concreti il meeting di Sofia sarà ricordato per la contrapposizione a distanza con Trump: nei giorni dell’avvio della “guerra economica” e dell’imposizione di dazi voluta dal Presidente americano, Li Keqiang ha più volte sottolineato come la Cina rimanga aperta al commercio con i proprio partner stranieri, e di come intenda continuare su questa strada. Li ha inoltre affermato che la Cina sosterrà la creazione di un “Global partnership center” a Sofia, al fine di sostenere le aziende cinese che intendono investire nella regione e aiutare gli investitori cinesi a comprendere le regole del mercato unico europeo. Più di mille imprenditori provenienti dalla Cina e dai “16” hanno poi partecipato al Business Forum, che si è svolto durante il summit di Sofia, e che ha favorito la firma di accordi in ambito commerciale, infrastrutturale, nei settori del turismo e dell’agricoltura. E’ stato infine deciso che il prossimo summit si terrà a Zagabria, capitale della Croazia, nel 2019.
Le preoccupazioni dell’Unione Europea
I leader cinesi hanno cercato di fornire ripetute rassicurazioni sul fatto che i summit annuali rientrino nel più grande contesto della “partnership strategica tra UE e Cina”, e non intendano creare divergenze e sfide al processo di integrazione continentale. Tuttavia molte sono state le voci in Europa che si sono espresse in modo scettico o negativo nei confronti del format. L’intensificazione dei rapporti tra Cina e CEEC allarma da qualche anno Brussels, e certamente anche Berlino. Non si può tuttavia ignorare il fatto che al momento l’UE rimane il principale partner economico di quell’area, e che la presenza cinese è inferiore anche a quella di altri investitori asiatici nell’area, come il Giappone e la Corea del Sud.
Dunque cosa preoccupa i Paesi dell’Europa Occidentale?
Non riteniamo che ciò che preoccupa una parte di Europa siano le tendenze in atto sul piano dei rapporti commerciali tra Cina e Unione Europea. Guardando ai fatti è evidente come le relazioni economiche e commerciali dei 16+1 si collochino al momento più su un piano di potenzialità che di realtà. Al momento l’impegno economico nell’area, rivolto principalmente alla costruzione di infrastrutture, è molto inferiore alle attese. E la maggior parte degli investimenti cinesi in Europa si localizzano nel Regno Unito, in Germania, in Francia e in Italia.
Ogni economia dei 16 naturalmente coltiva proprie aspettative soprattutto rispetto a infrastrutture, commercio, turismo. Recentemente tuttavia si è parlato di un rallentamento nelle relazioni tra la Cina e i 16. Tra le possibili spiegazioni avanzate quella della necessità per la Cina di non infastidire altri partner europei, volendo mantenere buone relazioni con la UE nel suo complesso; ed anche quella di ridurre le aspettative dei 16, considerando che diversi progetti – relativi in particolare a infrastrutture importanti come la ferrovia Belgrado Budapest, o l’autostrada in Macedonia - che la Cina aveva annunciato nell’area non si sono concretizzati Come sottolineato tra gli altri da Andrew Witthoeft per “The Diplomat”, la collaborazione tra alcuni dei Paesi dei “16” e la Cina non è dunque puramente una questione economica, ma ricopre anche un valore politico rilevante. Il “modello cinese” di capitalismo di Stato autoritario può risultare interessante per molti leader dell’Europa dell’Est, e in particolare per il Gruppo di Visegrad, ponendo potenzialmente una sfida al modello promosso dall’Europa Occidentale, rappresentando un’alternativa valida per Paesi come Ungheria, Serbia e Repubblica Ceca.
Di fatto, a fronte di una cooperazione economica ancora tutta da avviare la cooperazione istituzionale ha fatto buoni passi prevedendo la frequente consultazione tra i ministri dei 16 e quelli cinesi e degli incontri istituzionali a cadenza regolare, ora ulteriormente rinforzati dalla un’iniziativa di cooperazione in ambito energetico (novembre 2017).
Questa iniziativa parrebbe dunque avere delle spiegazioni più strettamente politiche e connesse ai sempre presenti timori di intenti divisivi della Cina: l’indebolimento dell’iniziativa 16+1 e il parallelo rinforzarsi degli FDI cinesi verso Germania e Francia farebbe innalzare il livello dei malumori di alcuni dei 16, in particolare della Polonia, che hanno sempre malvisto le interferenze della UE nella partnership 16+1. Si è in effetti parlato di potenziali rischi connessi alla crescita della presenza cinese nell’Europa orientale, ritenendo che a questa strategia sia connessa una precisa volontà di minare il processo di unificazione dell’Europa. Si è scritto anche che la presenza cinese potrebbe rinforzare le derive anti progressiste presenti in alcuni Paesi, con particolare riferimento a Polonia e Ungheria. E tuttavia non vi è chi non veda che il populismo dilaga in Europa a prescindere dalla crescita della presenza cinese.
Uno sguardo al futuro
La reazione dell’Europa come spesso accade è lenta e appare poco convincente. Più in generale rispetto ai rapporti tra UE e Cina, è evidente come, sia pure in un momento di estrema debolezza, l’Europa sarebbe chiamata a fare quadrato mostrando una linea compatta dell’UE alla Cina, in particolare regolando l’acquisizione dell’high tech in Europa da parte cinese. Occorrerebbe anche insistere sulla reciprocità di accesso ai mercati, chiedendo una maggiore apertura di quelli cinesi, cosa che in parte Merkel e Macron stanno facendo.
Teniamo presente però che tutto ciò, per quanto fondamentale per l’UE, non è prioritario per i paesi CEEC , che sperano invece che da questo rapporto con la Cina arrivi una spinta importante per le loro economie. Ecco dunque che alle strategie sopra menzionate occorrerebbe affiancare una visione nelle relazioni UE - Cina che non escluda gli interessi dei Paesi CEEC, una strategia più inclusiva e che non si presti a far da sponda alla preferenza cinese per la bilateralità nelle relazioni economiche e politiche, che è poi la premessa essenziale del “divide et impera”.
Claudia Rotondi
Docente di Economia dello Sviluppo, Università Cattolica del Sacro Cuore
Marco Bonaglia
Cultore della Materia ed esercitatore, Università Cattolica del Sacro Cuore