Chi è Mauro Corona, ospite fisso di Cartabianca
La vita, la natura, la scultura, la scrittura, la vita privata: tutto su di lui
Chi è Mauro Corona, il racconto della sua infanzia, l'adolescenza, poi l'amore per la natura, la scultura e la scrittura, fino alla sua esperienza in tv
Chi è Mauro Corona? Uomo schivo legatissimo alla natura, è diventato ospite fisso di Cartabianca, programma di informazione quotidiana i cui temi principali sono la cronaca, la politica, l'economia e l'ambiente, condotto da Bianca Berlinguer.
La vita
Mauro Corona è nato il 9 agosto del 195O. Rischiare la pelle diventa subito una questione con la quale farà spesso i conti. "Le grane me le sono andate a cercare ancora in fasce. Appena nato sono stato colpito da una brutta polmonite che, a detta dei miei, non mi avrebbe lasciato scampo. Attorno al mio capezzale erano accesi ormai anche quattro ceri e le preghiere della nonna Maria, giunta apposta da Erto, restavano l’unica speranza cui affidarsi. Il prete mi aveva dato l’estrema unzione. Sono guarito per miracolo", racconta lui stesso sul suo sito web. E continua: "Più di una volta mi sono affidato alla fortuna, purtroppo. Quando sono finito in una valanga sul monte Lódina o durante diverse scalate in balia di temporali che scaricavano fulmini a un passo da me, per esempio".
«Sono nato a Pinè in un carretto, durante uno dei peregrinaggi di mia madre Thia (Lucia). Gli ertani partivano da Erto a piedi, con carretti pieni di mestoli e utensili di legno che vendevano lungo il viaggio. Arrivare a Pinè da Erto significava fare più di 140 chilometri a piedi. Quel giorno mia mamma si accorse che non poteva più aspettare. Dovevo nascere. Le donne delle famiglie più povere partivano per viaggi del genere anche in gravidanza». Mauro trascorre quasi 6 anni a Baselga di Piné, in provincia di Trento.
Successivamente la famiglia decide di riportare lui e il fratello Felice, nato nel 1951, al paese d’origine, Erto: un pugno di case incassato nella valle del torrente Vajont, ultimo baluardo del Friuli occidentale. Mauro conosce i nonni paterni Felice e Maria, e Tina, la zia sordomuta. Trascorre l’infanzia nella Contrada San Rocco, assieme ai coetanei ertani. Alcuni di loro, Silvio, Carle, l’altro Carle, Meto, Piero, Basili diventeranno suoi inseparabili amici.
«Era una vita a contatto con la natura e con gli elementi della terra. Fin da bambini ci mandavano da soli in fondo alla valle del Vajont a raccogliere legna da ardere. Ricordo che facevo decine e decine di viaggi, sempre di corsa. Scendere era facile, tutta discesa. Ma salire carichi non era uno scherzo! È da allora che ho imparato ad amare la fatica. Se quella fatica non te la facevi amica, ti annientava».
L’amore per la montagna e per l’alpinismo gli entra nel sangue durante le battute di caccia ai camosci al seguito del padre sulle cime che circondano il paese. Appena tredicenne, in agosto, scala il Monte Duranno ed è del 1968, a diciotto anni, la prima via aperta sul monte Palazza, nella val Zemola di Erto.
La madre abbandona la famiglia pochi mesi dopo la nascita del terzo figlio, Richeto, e passeranno diversi anni prima che faccia ritorno a Erto.
«Oltre al grande vuoto, mia mamma, che era un’accanita lettrice, ci lasciò un patrimonio di libri non indifferente. Letture che divoravo. I personaggi e le storie creati da Tolstoj, Dostoevskij, Cervantes e altri grandi autori mi facevano un’incredibile compagnia».
Ai nonni resta il compito di tirare su i ragazzi. Dal vecchio Felice, abilissimo intagliatore, Corona apprende sin da bambino i rudimenti della scultura. Ma è l’unico in casa a divertirsi incidendo cucchiai e mestoli di legno con occhi, nasi e volti. "Ricordo un’infanzia che potrei definire quasi felice, quella passata assieme ai nonni e mia zia. C’era una grande serenità in casa. Quando mia madre fece ritorno, tutto cambiò. Cominciarono i litigi fra lei e mio padre, le botte; la pace di prima svanì. Più tardi, alle porte di Belluno, il 24 agosto 1962, morì anche mio nonno. Fu investito da un pirata della strada. Per me fu un colpo davvero duro".
Nel frattempo Mauro frequenta la scuola elementare fino all’ottava classe a Erto, poi inizia le medie a Longarone. Ma il 9 ottobre 1963 la gigantesca ondata del Vajont spazza letteralmente via la cittadina.
«Ricordo un boato indescrivibile, come il rombo di centinaia di aerei che solcano il cielo. Siamo usciti tutti all’aperto, terrorizzati. Era buio pesto. Mia zia Tina, sordomuta, era rimasta in casa, ignara. Toccò a me andare a tirarla via da lì, con la terra che tremava come durante un terremoto. Ci andai, anche se non mi reggevo sulle gambe. Mio padre era via, a caccia, i miei fratelli erano piccoli. Mio nonno non c’era più. Toccava a me aiutare la zia».
Mauro, insieme al fratello Felice, sarà costretto a trasferirsi per tre anni nel Collegio Don Bosco di Pordenone, dove furono mandati a studiare alcuni giovani sfollati dopo la tragedia. La nostalgia, il disagio, il senso di prigionia e di esclusione, la mancanza degli spazi liberi, dei boschi, sono i sentimenti che prevalgono nel corso di quel lungo periodo.
Finito il collegio viene iscritto all’istituto per Geometri Marinoni di Udine, ma non termina gli studi. Nemmeno il fratello Felice continua gli studi: nel 1968 parte per la Germania con il progetto di guadagnare lavorando in una gelateria, desiderio inseguito da molti giovani in quegli anni. Nemmeno tre mesi dopo annega in una piscina di Paderborn, a diciassette anni.
Mauro lascia il posto da manovale che aveva trovato a Maniago e va a spaccare massi nella cava di marmo del Monte Buscada, come scalpellino riquadratore. Sospende l’attività solamente durante il periodo del servizio militare, a 20 anni. Con i capelli lunghi fino alle spalle, lascia i monti e parte per L’Aquila arruolato negli alpini. Da lì finisce a Tarvisio nella squadra sciatori.
La scultura
Una mattina del 1975 un distinto signore di Sacile, Renato Gaiotti, passa per caso in via Balbi, nella vecchia Erto, davanti al minuscolo covo dove già da qualche anno Mauro abita. Il foresto nota alcune piccole sculture attraverso i vetri della finestra al pianterreno e decide di comprarle tutte in blocco. Mauro comincia a sperare davvero di poter vivere d’arte.
La sua fiducia si rafforza quando, soddisfatto dell’acquisto, poco tempo dopo Gaiotti gli commissiona una Via Crucis da donare alla Chiesa di Sacile. Per quei quattordici pannelli l’uomo lascia sul tavolo di uno sbalordito Corona una cifra stratosferica per quegli anni.
Sembra incredibile, eppure è una svolta: oltre a procurarsi tutto il necessario per rendere vivibile la sua tana, Mauro investe il resto dei soldi nell’attrezzatura indispensabile a scolpire e decide di trovarsi un maestro che gli possa insegnare seriamente il mestiere. La scelta ricade su Augusto Murer, l'artista di Falcade morto nel 1985. Riesce a frequentare il suo studio solo di tanto in tanto, ma lo fa per dieci anni, ampliando enormemente le sue conoscenze tecniche e artistiche. Tra i due nasce una bella e profonda amicizia. Murer sarà infatti presente anche alla prima mostra che Mauro organizza a Longarone.
È il 1976. Da allora le esposizioni sono seguite numerose e nei luoghi più disparati, fino in Svizzera. L’ultima è del 1997, quando lo Spazio Foyer del Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento fu invaso dal “Bosco Scolpito” di Corona.
La scrittura
Un amico giornalista, Maurizio Bait, un giorno decide di pubblicare alcuni dei suoi racconti, perchè quando ha voglia Mauro scrive, sul quotidiano “Il Gazzettino”. Si trattava di una rubrica settimanale all’interno del quotidiano, protratta per due stagioni, intitolata “I cieli” la prima e “Sotto le foglie” la seconda.
È da qui che comincia, all’inizio un po’ in sordina, una nuova attività: quella di scrittore, che lo porta alla pubblicazione di diversi libri, dal 1997 fino a oggi, editi dalle case editrici italiane più prestigiose. "Mi dispiace per i dattilografi che devono ricopiare a computer i miei geroglifici, ma io scrivo ancora solo “a mano” le mie storie" commenta spesso Mauro riguardo la sua calligrafia.
L’ esperienza in TV e la vita privata
All'inizio Muro Corona aveva accettato di essere coinvolto nel programma della Berlinguer per parlare delle sue montagne. Poi il suo spazio è diventato uno scambio di opinioni con la conduttrice o una finestra sul suo modo di pensare e di vedere le cose, in merito ai fatti di cronaca, attualità e politica che interessano sia l’Italia che l’estero.
Tra Mauro Corona e Bianca Berlinguer ci sono stati momenti di discussione ed è rimasto nella storia dello show il litigio durante il quale l’alpinista la chiamò “gallina”. Dopo una breve sospensione, Corona è tornato a Cartabianca e oggi tra lui e la Berlinguer c’è una bella amicizia e stima reciproca.
E la sua vita privata? Corona è riuscito persino a crearsi una famiglia numerosa: è sposato con Francesca e ha 4 figli: Marianna la primogenita, seguita da Matteo, Melissa e Martina.