Giovani, 3 adolescenti al giorno si suicidano ma nessuno si occupa di loro
Sembra che nessuno capisca i giovani che soffrono, forse mancano gli strumenti per aiutare i ragazzi. La scuola deve formare persone capaci di assistere
Salute mentale, report dell'Unicef: ogni giorno 3 suicidi tra gli adolescenti
In Europa 9 milioni di adolescenti (tra i 10 e i 19 anni) convivono con un disturbo legato alla salute mentale e il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani con 3 ragazzi al giorno che si tolgono la vita. Lo dice L'UNICEF che riporta il dato negativo e allarmante, accompagnato da un commento stringato e, a quanto pare, indiscutibile: salute mentale. Così in modo apodittico e sbrigativo il testo dell'UNICEF. In altre parole significa che il giovane che si toglie la vita è un pazzo, detto in termini di immediata comprensione. Sembra di essere tornati indietro nel tempo di parecchi anni, quando Basaglia si batteva per il recupero dei reclusi nei manicomi, proponendo la soppressione di questi istituti di detenzione sanitaria.
Ma che cosa succede oggi nella nostra società? Sembra che nessuno si occupi dei giovani che vivono per strada, salvo offrire loro, quando va bene, assistenza per i bisogni primari. Se il giovane non accetta il ritorno a casa o un'altra forma di assistenza, si conclude sbrigativamente che il giovane vuole rimanere nello stato in cui si trova per libera scelta. Ma è così?
Forse il rifiuto ha ragioni più profonde, che coloro che esprimono questi pareri, e sono talora istituti di assistenza pubblica, non sanno valutare. I giudici del rifiuto sono spesso specialisti, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, figure professionali che non sanno intervenire o non vogliono intervenire; forse mancano anche degli strumenti per affiancarsi ed aiutare davvero chi soffre. Perché di sofferenza si tratta. Ma di una sofferenza che non richiede psicofarmaci o altra soluzione coercitiva.
In questi soggetti si è rotto il rapporto con la società, che, nella maggior parte dei casi, non li sa accettare. Li esclude, li mette ai margini, li giudica senza sapere. Basta scorrere la vita di artisti che si sono tolti la vita in giovane età, non sempre per motivi di scelta individuale ed esistenziale. Casi al limite e diversi, si può osservare. Ma nella loro essenza indicativi della possibile sofferenza di giovani loro coetanei. Forse la società, la nostra, così chiusa in sé stessa, con le sue regole indiscutibili, dovrebbe riflettere e porsi una domanda fondamentale: ci vuole più tolleranza o più preparazione?
Tolleranza vuol dire curare senza preconcetti o preclusioni. Preparazione vuol dire sapere ed essere educati a sapere. La scuola a questo proposito ha le sue responsabilità. Non assolve al compito formativo in modo compiuto. Deve formare persone capaci di assistere chi ha bisogno, non con un ricettario in mano o con formule culturali derivanti da proprie convinzioni e certezze personali. Insomma, una cultura nuova è necessaria.