Esclusivo/ Ruffino, una fonte ad Affari: "Serve guardare ancora in Visibilia"

La criminologa Bruzzone al nostro giornale: "L'imprenditore aveva l'angoscia di ripiombare in un'altra vicenda giudiziaria"

di Eleonora Perego
Daniela Santanchè  e Luca Ruffino
Cronache

Suicidio Ruffino, un amico ad Affari: "Scavare nella 'grana' Visibilia"

Che cosa ha spinto Luca Giuseppe Reale Ruffino, l'imprenditore morto suicida lo scorso sabato, a compiere l'estremo gesto? Sono in molti a domandarselo. Nel pomeriggio di oggi 8 agosto sono stati sentiti nel pomeriggio in questura a Milano i due figli e la compagna. Tutti, a quanto si è appreso, avrebbero riferito di aver sentito e visto sottotono l’uomo nell’ultima settimana; uno stato d’animo che non avrebbe suscitato particolari preoccupazione in quanto Ruffino aveva passato momenti simili già in passato.

Ma c'è una pista in più: Affaritaliani.it, infatti, ha avuto la possibilità di mettersi in contatto con una fonte che lo conosceva bene, e che, per questo, preferisce restare anonima. L'uomo ha avuto a che fare con Ruffino per moltissimi anni nell’ambito dell’amministrazione condominiale. “Nulla faceva pensare a una malattia o a un gesto estremo – rivela ad Affari l'amico di Ruffino - Il resto sono supposizioni e congetture che ognuno può fare. Io guarderei ad esempio a cosa è ancora nascosto nella grana Visibilia. Se ci fosse qualcosa di più e di nuovo si sarebbe trovato chiuso in un dilemma. L’ultima cosa che penso avrebbe voluto era di essere nuovamente coinvolto in problemi giudiziari”. E aggiunge: “L’ho conosciuto 30 anni fa perché curava la manutenzione di alcuni immobili; nell’ultimo anno i contatti si sono intensificati per ipotesi di business a cui era interessato. Per quanto mi riguarda era una persona seria, professionale e corretta”.

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Inevitabile rievocare, dunque, il calvario che aveva coinvolto l’amministratore condominiale di San Felice, assolto in Cassazione dopo sette anni dall’accusa di finanziamento illecito ai partiti. Il manager milanese era rimasto coinvolto nell’inchiesta Aler su presunte irregolarità nella gestione degli appalti dell’azienda. Una vicenda che l’aveva segnato nel profondo; un incubo che – anche solo indirettamente – avrebbe forse potuto riproporsi, questa volta a causa delle indagini che vedono coinvolta la società di cui era diventato presidente, Visibilia Editore.

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È questa l’ipotesi della criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone, interpellata da Affari per ricostruire il possibile scenario dietro al gesto estremo dell'imprenditore. “Da quella vicenda giudiziaria (inchiesta Aler, ndr) Ruffino era uscito molto provato sul piano psicologico. Davanti dalle problematiche note legate all’azienda Visibilia di cui aveva acquistato delle quote, può aver richiamato in lui quella dimensione traumatica e depressiva che probabilmente non aveva mai affrontato in maniera efficace, quell’esperienza mai del tutto elaborata”. E aggiunge: “Il timore di ripiombare anche solo indirettamente nella stessa situazione l’aveva fatto ripiombare in una condizione di sconforto”. Del resto – continua Bruzzone – “nel libro da lui scritto per raccontare di quell’inchiesta emerge come abbia vissuto l’esperienza giudiziaria in modo traumatico”.

Parole rimangono scolpite come nella pietra, le stesse che aveva rilasciato all’indomani dell’assoluzione in Cassazione: “Ho provato vergogna, un sentimento che annichilisce e trascina in basso. Per rispetto dell’attività degli inquirenti ho soffocato per tutto questo tempo le mie urla di innocenza di fronte a un reato fantasioso, subendo minacce e forti ritorsioni professionali che mi hanno toccato nel profondo e fatto vacillare… . Mi sono ritrovato improvvisamente in quel tritacarne mediatico e politico. Indagato e quindi colpevole per i più, il sospetto letto negli occhi delle persone che ti accompagna come un’ombra  …”

“Normalmente una persona si suicida perché la paura di quello che deve affrontare è più grande della stessa paura della morte. È evidente che qualche scenario che per lui era particolarmente difficile da affrontare si deve essere affacciato alla sua consapevolezza” conclude la criminologa.

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