Eritrea, il vescovo Hagos trascorre il Natale in carcere: regime in silenzio

Il 15 ottobre il presule cattolico è stato arrestato all'aeroporto di Asmara: da allora non si sa più nulla di lui e del parroco Mihreteab Stefanos

Fikremariam Hagos Tsalim
Cronache

Eritrea, il vescovo Hagos è finito in carcere perchè "oppositore del regime"

Arrestato perché “oppositore del regime”, quello eritreo, uno dei più repressivi al mondo. È sparito così il vescovo di Segeneiti, Fikremariam Hagos, che ha trascorso il Natale in cella in una località sconosciuta nello Stato-caserma dell'Africa. Il 15 ottobre il presule è stato prelevato dall’aeroporto di Asmara e da allora non si sa più nulla: nessuna risposta alle richieste di informazioni della chiesa eritrea, ancora silenzio da parte del regime.

Con il vescovo erano stati arrestati a metà ottobre due sacerdoti, il parroco della chiesa di San Michele a Segeneiti, Mihreteab Stefanos, e padre Abraham, frate cappuccino a Tessenei. Nemmeno del prete si sa nulla, mentre il religioso, nonostante la legge eritrea esenti i consacrati dal servizio di leva a vita, è stato arruolato a forza per recarsi a combattere nella vicina regione etiope del Tigrai.

Eritrea, le ipotesi in campo sul vescovo Hagos arrestato dal regime 

Il governo eritreo non aveva mai osato arrestare un vescovo cattolico, perdipiù senza accuse formali: “Questo arresto non ha alcuna base legale – afferma don Mosè Zerai, eritreo e presidente dell’agenzia Habeshia – un vescovo cattolico ha trascorso senza ragione il Natale in carcere in Eritrea. Un caso di persecuzione passato sotto silenzio nei media internazionali. Nessuno ha potuto visitarlo dal giorno dell’arresto e non si sa dove sia. Di solito una personalità del suo calibro non viene rinchiusa con altri prigionieri”.

Le colpe? Secondo don Zerai aver chiesto nell’ultimo periodo spiegazioni al regime circa la confisca delle scuole e delle cliniche cattoliche. “Hagos – aggiunge - ha anche protestato pubblicamente per il trattamento dei fedeli della sua diocesi. Quando una persona fugge dall’Eritrea, infatti, il regime perseguita la famiglia, mettendo i parenti fuori casa o sequestrando il bestiame”.

La dittatura ha replicato con arruolamenti di massa fuori dalle Messe: "Il vescovo – conclude don Zerai – non ha potuto fare a meno di parlare di diritti e giustizia e dei giovani eritrei inviati come carne da macello in guerra".

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