Fecondazione assistita, la Consulta: “Il consenso dell'uomo non è revocabile"

La sentenza della Corte costituzionale: anche in caso di separazione dei coniugi la donna ha diritto di farsi impiantare l'ovulo precedentemente fecondato

Di Redazione Cronache
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Fecondazione assistita, la Consulta: "Anche se c'è separazione il consenso dell'uomo non è revocabile"

Non è illegittima, secondo la Corte Costituzionale, la norma sulla fecondazione assistita che stabilisce la irrevocabilità del consenso dell’uomo dopo la fecondazione dell’ovulo. La sentenza numero 161 del 2023 ha ritenuto non irragionevole il bilanciamento operato dal legislatore. Tale norma rende possibile, per effetto della crioconservazione, la richiesta dell’impianto degli embrioni non solo a distanza di tempo, ma anche quando sia venuto meno l’originario progetto di coppia. Infatti, nel caso del giudizio a quo la donna aveva richiesto l’impianto dell’embrione crioconservato, nonostante nel frattempo fosse intervenuta la separazione dal coniuge. Questo si è opposto ritirando il consenso precedentemente prestato, ritenendo di non poter essere obbligato a diventare padre.

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L’accesso alla Pma comporta infatti “per la donna il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni. Corpo e mente della donna sono quindi inscindibilmente interessati in questo processo, che culmina nella concreta speranza di generare un figlio, a seguito dell’impianto dell’embrione nel proprio utero. A questo investimento, fisico ed emotivo, che ha determinato il sorgere di una concreta aspettativa di maternità, la donna si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale”.

Inoltre, “se è pur vero che dopo la fecondazione la disciplina dell’irrevocabilità del consenso si configura come un punto di non ritorno, che può risultare freddamente indifferente al decorso del tempo e alle vicende della coppia, è anche vero che la centralità che lo stesso consenso assume nella Pma, comunque garantita dalla legge, fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre; ciò che rende difficile inferire, nella fattispecie censurata dal giudice a quo, una radicale rottura della corrispondenza tra libertà e responsabilità”. La sentenza ha infine precisato che la ricerca di un eventuale diverso punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze in gioco non può che spettare al legislatore.

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