Giuseppe Berto: un grande scrittore da rivalutare. Ecco perchè

L’autore de “Il male oscuro” meriterebbe una mostra dedicata

Di Giuseppe Vatinno
Lo scrittore Giuseppe Berto
Cronache

Ecco perchè il grande scrittore Giuseppe Berto è da "rivalutare" 
 

Giuseppe Berto è stato un grande scrittore, scomparso esattamente 45 anni fa, che sta conoscendo un periodo di rivalutazione, dopo un certo periodo di oblio dovuto a ostracismo politico. Nato a Mogliano Veneto un anno prima che finisse la Grande Guerra è stato non solo scrittore di successo, ma anche sceneggiatore e drammaturgo di talento. Suo padre era un maresciallo dei carabinieri che lasciò l’Arma per aprire un negozio di cappelli ed ombrelli, con cui riusciva a stento a tirare avanti. Berto cresce in un clima improntato al rispetto della legge ma soprattutto della morale che introietta nel Super - Io freudiano. Una esperienza che lo segnerà per tutta la sua esistenza.

Primo maschio di una famiglia numerosa va a studiare nel Collegio salesiano Astori di Mogliano, passando poi al liceo Canova di Treviso. Diplomatosi, il padre gli dice che non lo manterrà all’università e così Berto si arruolò nel Regio Esercito. Intanto in Italia era giunto al potere il fascismo e il giovane entra negli Avanguardisti. Si iscrive all’università di Padova conducendo una esistenza bohémien. Entra nei Guf, Gruppi universitari fascisti, e diviene Capo manipolo della Gioventù italiana del Littorio. Iscritti ai Guf erano anche tutta la giovane intellighenzia che poi sarebbe passata in blocco (tranne Berto) alla sinistra, solo dopo la caduta del fascismo naturalmente.

Tra loro ricordiamo Alberto Moravia, Giorgio Napolitano, Pietro Ingrao, Giuseppe D’Alema (il padre di Massimo), Alessandro Natta, Michelangelo Antonioni e molti altri “insospettabili”. Nel 1935 lo troviamo in Abissinia impegnato nella guerra coloniale in Africa orientale per cui parte volontario, ottenendo ben due medaglie al valor militare, d’argento e di bronzo. Tornato in Italia si laurea in lettere a Padova e comincia a pubblicare sul Gazzettino di Venezia racconti e reportage della guerra in Africa orientale. Berto ha uno stile giornalistico che è assai raro nei racconti dell’epoca e comincia ad essere notato dai critici.

Insegnò latino e storia al liceo ma si accorse presto che l’insegnamento non era il suo mestiere. Si arruola quindi come ufficiale nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale chiedendo come destinazione l’Africa settentrionale. Nel settembre 1942 combatte nel VI Battaglione Camice Nere di stanza a Misurata che partecipa alla difesa della cirenaica. Termina la sua esperienza militare nel X Battaglione Camice Nere “M” (Mussolini). Viene fatto prigioniero dagli Alleati in Tunisia nel 1943 e deportato nel campo di concentramento di Hareford, nel Texas, insieme ad altri intellettuali italiani. Tornato in Italia nel 1946 inizia la sua carriera letteraria nell’ostracismo e nella ostilità del clima culturale della sinistra post - Guf. Conosce Leo Longanesi che gli pubblica “Il cielo è rosso” nel 1946, diario della prigionia. Il romanzo è apprezzato dalla critica e lo stesso Ernest Hemingway lo loda pubblicamente.

Si trasferisce a Roma dove conoscerà la moglie Manuela (la “ragazzetta” de “Il male oscuro”) da cui avrà una figlia, Antonia, nel 1954. Nel frattempo tenta di pubblicare altro ma non ci riesce e cade in una “nevrosi d’angoscia” che segnerà la sua esistenza. Riesce in seguito a pubblicare per Garzanti nel 1955 “Guerra in camicia nera”. Ma la vera svolta per lui l’avrà quando andrà in terapia psicanalitica da Nicola Perrotti. Si trattò di una esperienza illuminante che viene raccontata nel suo romanzo più famoso, “Il male oscuro”, del 1964. In una sola settimana il libro vince il premio Viareggio e il Campiello. Nel frattempo acquista un terreno a Capo Vaticano, in Calabria, in cui si trasferirà in seguito. Lavora alacremente per mantenersi a sceneggiature cinematografiche tra le quali, la più importante, è quella del film “Anonimo veneziano” del 1970 diretto da Enrico Maria Salerno.

Nel 1974 pubblica da Rusconi “Oh, Serafina!”, vincendo il premio Bancarella e da cui fu tratto poi anche un film nel 1976 diretto da Alberto Lattuada. “Il male oscuro”, dicevamo, è il suo capolavoro caratterizzato da una tecnica particolarissima che si chiama “flusso di coscienza”. Lo stile letterario è infatti composto da raffiche di lunghissimi periodi quasi senza punteggiatura che stanno a rappresentare l’ansia dello scrittore per il suo stato psicologico. Si tratta della sua lotta contro la figura del “Padre” (da poco scomparso) psicanaliticamente inteso. Il romanzo ebbe un successo incredibile. Si tratta di una delle prime opere -se si eccettuano quelle di Italo Svevo- in cui viene narrata l’esperienza psicanalitica che stava affermandosi anche in Italia. È uno stile nevrotico il suo, ma di quella nevrosi che essendo dilagata nel secondo dopoguerra anche da noi, fa sentire il lettore partecipe e molto coinvolto. Il romanzo è anche condito e intessuto di una formidabile substrato ironico che rende godibile anche le situazioni più complesse.

Sullo sfondo una Roma dai vivaci colori pastello, come le cartoline del tempo, in pieno boom economico, che uscita dalla guerra ha voglia di divertirsi e di leggerezza. “Anonimo veneziano” è invece un film del 1970 interpretato da Florinda Bolkan e Tony Musante che segna l’esordio alla regia per Enrico Maria Salerno. L’idea fu dell’attore teatrale che si rivolse a Berto nel 1966 per una sceneggiatura che gli chiese di riservarsi i diritti teatrali. L’opera è ricordata per la bellissima colonna sonora del maestro Stelvio Cipriani. Il brano diretto da Musante in chiusura è il celebre “Concerto in Do minore per oboe, archi e basso continuo di Benedetto Marcello”. Sullo sfondo una Venezia bellissima e decadente, con le sue acque verde smeraldo e le sue nebbie esistenziali. Il film “Il male oscuro” del 1990 è stato invece diretto da Mario Monicelli con Giancarlo Giannini nel ruolo del protagonista e Stefania Sandrelli nel ruolo della fidanzata francese.

La sinistra non ha mai apprezzato Berto soprattutto a causa dell’opposizione di Alberto Moravia che allora era il vero dominus della cultura letteraria italiana. Il vero motivo dell’ostracismo di Moravia era però dovuto al premio Formentor sponsorizzato dallo scrittore romano a Dacia Maraini per il suo libro “L’età del malessere”, che vinse battendo Luciano Bianciardi autore de “La vita agra”. Berto contestò il valore letterario del romanzo e fece capire che si trattava di altro, perché Moravia e la Maraini stavano insieme.

La Maraini, poco signorilmente, gli diede allora pubblicamente dello “stronzo”, Berto la querelò ma venne assolta. Lo scrittore veneto prende in giro argutamente Moravia ne “Il male oscuro” quando racconta del suo “clan” riunito al caffè Rosati di Piazza del Popolo a Roma e a cui lui non è ammesso. Berto si trovò escluso dai salotti letterari, nonostante il successo dei suoi libri, a causa di quella che lui chiamava la “mafia di Moravia” e la fatwa che fu emessa contro di lui. Tuttavia il suo non fu un livore personale quanto quello per una intera area culturale che fu emarginata –e lo è tutt’ora- dal milieu artistico italiano. Speriamo dunque che il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che si è reso finora meritoriamente disponibile a eventi su Julius Evola, Giuseppe Prezzolini, J. R. R. Tolkien (ma anche Italo Calvino) si ricordi pure del grande scrittore veneto.

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