"Le parole pesano", l'Anm bacchetta su Affari la giudice della "palpata breve"

Il caso della giudice che ha assolto a Roma due uomini accusati di molestie. Parla con Affari il capo dell'Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia

di Eleonora Perego
 GIUSEPPE SANTALUCIA (presidente ANM
Cronache

"Palpata breve" e "vittima complessata", l'Anm ad Affari: "Linguaggio  che 'discrimina'"

“Il mio ruolo mi dà autonomia”: si è difesa così Maria Bonaventura, la giudice a capo del collegio del Tribunale di Roma finita al centro di una bufera per le due recenti sentenze di assoluzione “contro” alcune donne che avevano denunciato molestie. La prima per il bidello dell’istituto Cine Tv di Roma Roberto Rossellini (la palpata ai glutei della ragazzina - secondo la giudice - sarebbe stata giocosa, come prova fra l’altro la durata inferiore ai 10 secondi del gesto), poi per il direttore del museo sempre della Capitale accusato di molestie su una dipendente (era lei ad essere “mossa dai complessi di natura psicologica sul proprio aspetto fisico (segnatamente il peso)”, ha motivato Bonaventura. Da ultimo lo "sconto" nella condanna per un marito che ha inferto coltellate alla schiena alla moglie.

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A far scalpore, poi, non solo l’esito dei processi, quanto l’utilizzo di certe espressioni (“palpata breve”, “vittima complessata”), ritenuti profondamente irrispettosi nei riguardi delle vittime. Quasi un’altra violenza, questa volta verbale, che ha spinto molte associazioni di attiviste a richiedere addirittura l’intervento del ministro Carlo Nordio.

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Affaritaliani.it ha interpellato sul punto il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Santalucia: “Quello del linguaggio, e soprattutto dell’attenzione e del riguardo al linguaggio utilizzato all’interno delle sentenze è un tema di forte attualità all’interno della magistratura. Specie quando ci si approccia al tema della violenza di genere. A prescindere dalle singole sentenze che ci sono state, il monito che mi sento di fare è quello di prestare attenzione alle parole da utilizzare”. 

Ciò perché “le parole non sono tutte uguali, e bisogna avere cura di usarle per bene. Termini più 'coloriti', che per qualcuno di noi possono apparire neutri, in realtà possono avere una funzione discriminatoria”. A questo si aggiunge, secondo Santalucia, l’esigenza di un “maggiore affinamento della specializzazione anche dei giudici, non solo degli operatori di polizia, quando si affrontano temi come la violenza di genere”.

Sull’invocazione del ministro Nordio, poi, Santalucia precisa: “Chiamare in causa ispettori ministeriali è un passo sbagliato oltre che inutile, perché il ministero della Giustizia non potrebbe mai intervenire sul processo cognitivo di un giudice. Le sentenze possono aver male interpretato le norme o mal ricostruito i fatti, ma i correttivi devono essere trovati dentro il processo”.

Non si può escludere, secondo il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, che “ci possano essere state delle difficoltà di ordine culturale nel comprendere i fatti così come avvenuti, da parte della giudice. Ma neppure si può escludere un eccesso da parte delle associazioni di individuare 'offese' laddove non ci sono state”. Quello che è certo, per Santalucia, "è che quello delle violenze di genere è un settore dell’attività giudiziaria particolarmente difficile, dove è alta l’attenzione. E dove il legislatore ora più che mai vuole richiamare l’attenzione dell’attività giudiziaria”. 

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