Maternità surrogata reato universale? Norma inapplicabile
Il valore giuridico del provvedimento è nullo nella pratica
Maternità surrogata, la nuova fattispecie di reato che si vuole creare è di fatto inesistente
In questi giorni si sta discutendo nell'aula della Camera dei Deputati la proposta di legge di iniziativa parlamentare (A.C. n. 887 e abbinati) presentata dall'On. Varchi (FDI) dopo che la stessa ha ottenuto il via libera dalla Commissione parlamentare permanente Giustizia di Palazzo di Montecitorio. Com'è noto, la legge ordinaria dello Stato 19 febbraio 2004, n. 40 (sulla quale e' intervenuta la Corte costituzionale) in materia di procreazione medicalmente assistita vieta, nell' ordinamento interno, la vergognosa pratica della c.d. "maternità surrogata".
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La proposta in esame intende apportare una modifica all'art. 12, comma 6, della sopracitata legge, introducendo la perseguibilità del reato di surrogazione di maternità e di commercializzazione di gameti o di embrioni commessi all'estero dal cittadino italiano. Ora, se, da un punto di vista politico, l'intenzione è pienamente condivisibile in quanto volta a porre un freno al deprecabile "turismo procreativo", su quello prettamente giuridico ci troviamo innanzi al tentativo di creare una nuova fattispecie di reato di fatto inesistente.
Infatti la norma sembra voler estendere in modo strumentale la giurisdizione italiana ad un reato che di fatto non è universale semplicemente perché non percepito e non considerato (purtroppo) in quanto tale dalla comunità internazionale (si veda l'ampio margine di discrezionalità che la Corte EDU riserva agli Stati membri del Consiglio d'Europa sul punto).
Il valore giuridico del provvedimento sarebbe nullo nella pratica, ma utile solo ad essere utilizzato come slogan a fini politici. Infatti, a che titolo la norma penale può intervenire a sanzionare comportamenti che tenuti in altri Paesi (ad esempio in Canada) sono leciti secondo quell'ordinamento?
Applicare la legge italiana a fatti che, secondo la "lex loci" di un altro sistema giuridico, non costituiscono reato, viola il principio della doppia incriminazione (in forza del quale il fatto posto in essere per essere perseguibile deve essere penalmente illecito sia per l'uno che per l'altro Stato) che secondo la dottrina penalistica maggioritaria (Marinucci, Dolcini, Gatta), costituisce requisito implicito per la perseguibilità del fatto commesso all'estero dal cittadino italiano.
Si corre, pertanto, il rischio di "scardinare le frontiere tra ordinamenti" e di creare potenziali conflitti di giurisdizione tra Stati. La partita, prima che sul piano del diritto positivo, va "giocata" con forza e determinazione su quello filosofico, ma questo richiede una preparazione ed una capacità irradiante che la classe politica salvo rare eccezioni, non ha. Forse la classe politica dovrebbe ricordare quanto diceva Margaret Thatcher "La mia non è una politica del consenso. È una politica del convincimento".