Migranti: “cauzione” da 5.000 euro per evitare i CPR. Qualche sospetto di incostituzionalità
Sono da ritenersi sempre incostituzionali, per la Consulta, le norme che «appongono determinati oneri (anche economici)» a carico di chi...
I soccorsi dei sopravvissuti del naufragio al largo del mar della Grecia dove sono morti 59 immigrati
Migranti: “cauzione” da 5.000 euro per evitare i CPR. Qualche sospetto di incostituzionalità
Con un decreto attuativo del 14 settembre scorso, pubblicato ieri mattina in Gazzetta Ufficiale, il Ministero dell’Interno ha fissato in 4.938 euro la «garanzia finanziaria», già prevista dal decreto “Cutro”, che dovrà essere prestata per evitare il trattenimento in un centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) dai richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri oppure fermati al confine dopo aver eluso i controlli di frontiera, nonché dagli extracomunitari che abbiano impugnato e chiesto la sospensione di un provvedimento di diniego emesso in seguito a richieste di protezione internazionale giudicate inammissibili, manifestamente infondate o meramente dilatorie, oppure presentate da soggetti trovati in situazione d’irregolarità su territorio italiano o – ancora – ospitati in punti di crisi in seguito a soccorso in mare.
Novità che è valsa al Governo retoriche accuse di «scafismo di Stato» da chi (non intendendo attribuire all’espressione – si spera – il significato che la stessa aveva nell’Antica Persia) probabilmente dimentica che la cauzione per evitare la detenzione preventiva – lungi dall’essere considerata nel resto del mondo una «tangente» o «pizzo» governativo – è un istituto giuridico maneggiato già da secoli dai civilissimi anglosassoni (che, al massimo, un tempo sono stati pirati).
Non tutto ciò che è ingenito nell’universo giuridico angloamericano, però, è ben accetto anche dalla Costituzione italiana e dalle norme sovranazionali continentali. Dunque, la nostra memoria giuridica e, in particolare, la giurisprudenza costituzionale ci impongono di chiederci: la “cauzione” per i richiedenti asilo reggerà al vaglio di costituzionalità cui sarà, verosimilmente, sottoposta a strettissimo giro?
La Corte Costituzionale non ha mai visto di buon occhio la richiesta di una cauzione, ossia del deposito di una somma in denaro, come condizione per l’esercizio del diritto fondamentale a un ricorso contro i provvedimenti dell’autorità amministrativa.
Nel 2004, la Consulta ha dichiarato incostituzionale una norma, introdotta l’anno prima nel Codice della Strada, che imponeva a chi volesse impugnare una sanzione stradale davanti al giudice di pace di versare, a pena di inammissibilità del ricorso, «una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall’organo accertatore».
Certo: quella delle “multe” agli automobilisti potrà apparire materia assai più meschina rispetto al trattamento dei rifugiati (o autoproclamantisi tali). Studiare la legge, però, significa astrarre i principi e il principio affermato dalla Corte in quell’occasione fu quantomai chiaro: il diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri interessi «è inviolabile e deve trovare attuazione uguale per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali».
Sono da ritenersi sempre incostituzionali, per la Consulta, le norme che «appongono determinati oneri (anche economici)» a carico di chi intenda agire in giudizio per la difesa dei propri diritti, quando tali richieste economiche hanno l’effetto «di precludere o ostacolare gravemente l’esperimento della tutela giurisdizionale» per fini «estranei allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento conforme alla sua funzione». Principio già affermato in passato dai giudici costituzionali per cancellare, dal nostro ordinamento, le norme che imponevano il versamento del tributo come condizione per impugnare l’atto con cui il Fisco ne chiedeva il pagamento, anche se illegittimo, e quelle che esigevano il previo pagamento dell’imposta di registro per il rilascio di copia esecutiva delle sentenze civili.
Una giurisprudenza, questa, che pende come la spada di Damocle, soprattutto sulla terza ipotesi di cauzione prevista dal governo: quella richiesta all’extracomunitario che impugni e chieda la provvisoria sospensione di un provvedimento di revoca o cessazione della protezione internazionale, per evitare il momentaneo trattenimento presso un CPR in attesa della decisione sull’istanza di sospensione. Anche perché, in caso di «allontanamento indebito del richiedente asilo», il prefetto dovrebbe escutere la garanzia finanziaria e destinarla «ai bilanci dello Stato», quindi a finalità totalmente aliene da quelle per cui la garanzia andrebbe prestata.
Si dirà: nei casi decisi dalla Consulta il pagamento della cauzione era condizione per agire in giudizio, il decreto “Cutro” e il decreto attuativo pubblicato ieri mattina, invece, non pongono la prestazione della “garanzia finanziaria” come condizione per impugnare o chiedere la sospensione dei provvedimenti di diniego della protezione internazionale, ma solo come condizione per non finire in un centro per il rimpatrio nell’attesa che il giudice decida sull’istanza di sospensione del provvedimento impugnato. Vero: infatti non è detto che la spada pendente si sfili dal crine e trafigga la novità legislativa, considerato anche che le ipotesi in cui è richiesta cauzione sono ipotesi particolari.
È anche vero, però, che – almeno quando vuole – la Corte Costituzionale non va troppo per il sottile (giuridico) e la privazione della libertà personale e di movimento che consegue alla reclusione in un centro per il rimpatrio costituisce ostacolo concreto all’esercizio del diritto di difesa, per le limitazioni e le maggiori difficoltà di approntare la strategia difensiva che ne derivano.
Le critiche delle opposizioni e il diritto comunitario
Più drastiche e di respiro sovranazionale le critiche al provvedimento che provengono dalle opposizioni. Il radicale Riccardo Magi ha sostenuto che una «sentenza della Corte di Giustizia europea nel 2020 ha già sanzionato una misura analoga introdotta dall'Ungheria», mentre, in un’intervista all’Huffington Post, il presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, Gianfranco Schiavone, ritiene, addirittura, che una sentenza del 14 maggio 2020 pronunciata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (organo diverso dalla Corte di Giustizia), sempre contro l’Ungheria, consentirà ai giudici italiani di disapplicare la nuova norma.
La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo citata da Schiavone non tratta in nessun passaggio disposizioni di diritto ungherese che prevedano il pagamento di una garanzia finanziaria da parte dei richiedenti asilo; lo stesso vale per l’unica sentenza resa nel 2020 dalla Corte di Giustizia Europea contro il trattamento dei migranti da parte dell’Ungheria che siamo riusciti a trovare. Entrambe le pronunce hanno condannato lo Stato magiaro per le modalità di trattamento dei migranti in alcuni territori al confine con la Serbia e per la politica di respingimenti verso quest’ultimo Stato.
Leggendo con più attenzione il diritto europeo, anzi, le preoccupazioni di Magi e Schiavone appaiono giuridicamente infondate. È la stessa Direttiva n. 33/2013, approvata dall’allora maggioranza scafista del Parlamento Europeo e peraltro citata nella sentenza evocata da Schiavone, a stabilire che, come misura alternativa al trattenimento dei richiedenti asilo in appositi centri, gli Stati membri possono prevedere «la costituzione di garanzie finanziarie».
Dunque al piano nobile del Viminale si potrà dormire (almeno qualche) sonnellino tranquillo per la sicura compatibilità delle nuove norme con il diritto sovranazionale? No.
Giuristi e legislatori italiani sono liberi di chiamare «trattenimento» la permanenza dei richiedenti asilo presso i CPR ma a Strasburgo, e anche in Lussemburgo, si mira «à l’essentiel»: quel tipo di regime è considerato detentivo (lo dice la sentenza Khlaifia c. Italia) e allora la «garanzia finanziaria» inserita nel decreto Cutro è libertà su cauzione. La conseguenza è assai semplice: in almeno tre sentenze (Gafà c. Malta, Hristova c. Bulgaria e Toshev c. Bulgaria), la giurisprudenza della Corte EDU ha deciso che «l’importo stabilito per la cauzione deve tener conto dei mezzi a disposizione dell’imputato e della sua capacità di pagare». Anche a voler arrotondare per difetto quei 4.938 euro che i prefetti dovrebbero riscuotere da guineani, ivoriani e tunisini, è difficile che una norma come quella che abbiamo da ieri in Italia, imponendo il pagamento di un importo fisso tanto elevato ed essendo priva di meccanismi di adeguamento al caso concreto, risulti compatibile con i principi della giurisprudenza comunitaria.