Omicidio Attanasio, arriva la svolta: condannati all'ergastolo i 6 imputati

Agguato in Congo: sei condanne all'ergastolo per la morte dell'ambasciatore italiano, del carabiniere Iacovacci e l'autista Milambo

Cronache

Agguato in Congo, il processo era iniziato il 12 ottobre scorso 

Svolta nell'agguato avvenuto in Congo il 22 febbraio di due anni fa che ha visto la morte dell'ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo: secondo i media locali tutti i sei imputati sono stati condannati all'ergastolo.  Il processo Kinshasa era iniziato il 12 ottobre scorso. Tutti e sei sono stati ritenuti colpevoli di "omicidio, associazione a delinquere, detenzione illegale di armi e munizioni da guerra". 

Un omicidio, quello di Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista del Programma alimentare mondiale (Pam), Mustapha Milambo, è maturato in una regione della Repubblica democratica del Congo, il Nord Kivu, ad alta tensione dove gli scontri tra milizie armate, bande criminali ed esercito regolare che durano da ormai vent’anni: una regione che non trova pace e nemmeno i tentativi della Comunità degli Stati dell’Africa Orientale, presente con un contingente militare e la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (Monusco), riescono ad arginare.      

A due anni di distanza da quella strage la situazione nella provincia orientale è sempre più critica e anche le indagini sull’omicidio ne hanno subito le conseguenze. Il governo di Kinshasa è costretto a fronteggiare la grave minaccia rappresentata da decine di gruppi armati, banditi, politicizzati o fanatici religiosi. Una minaccia che continua ad aumentare, nonostante i fatti di due anni fa e la presenza della missione dei caschi blu della Monusco.     

Come spiega l'Agi sono oltre 100 i gruppi armati attualmente attivi in Repubblica democratica del Congo: secondo il Kivu security tracker, una Ong che monitora la violenza nell’est della Rdc, le Forze democratiche alleate (Adf), le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), l’Alleanza dei patrioti per un Congo libero e sovrano (Apcls) e il Nduma defense of Congo-rénové (Ndc-R) sono responsabili per oltre un terzo degli incidenti nel Paese e della metà dei civili che vengono uccisi. E poi c’è il Codeco, che i servizi di sicurezza americani indicano essere la colonna dello Stato islamico nella zona dei Grandi laghi.       

Con il crescere dell’insicurezza si aggrava anche la situazione umanitaria nell’est della Repubblica democratica del Congo, mentre gli scontri tra ribelli ed esercito non cessano e la forza militare schierata dalla Comunità degli Stati dell’Africa Orientale, sembra essere impotente. Il paese sta attraversando una grave crisi umanitaria, con oltre 5 milioni di sfollati, tra cui centinaia di migliaia di persone cacciate dalle loro case nel nord est, nella regione del Nord Kivu. A fronte di questa emergenza l’Unione europea, in particolare, ha varato all’inizio di marzo un ponte aereo umanitario verso Goma, capoluogo del Nord Kivu. 

Ma a preoccupare le organizzazioni umanitarie sono le persone che risiedono in aree remote della regione che rimangono abbandonate a se stesse e non ricevono alcun aiuto. Il paradosso, tuttavia, è che a Goma sono presenti molte organizzazioni non governative che hanno, però, una limitata capacità operativa per via del persistere di una condizione di insicurezza. Nella regione la situazione si è aggravata con la ripresa delle armi da parte dei ribelli dell’M23, che ricevono il sostegno militare e logistico da parte del vicino Ruanda. Sostegno che ha aperto una grave crisi diplomatica tra i due paesi.

Le Nazioni Unite, in vari rapporti, sostengono questa tesi, mentre Kigali nega. Intanto il governo di Kinshasa, accusato da più organizzazioni non governative locali di non sbloccare le autorizzazioni per l’operatività umanitaria, chiede un rafforzamento della missione di pace delle Nazioni Unite, Monusco. Una missione di peacekeeping contestata dalla popolazione che ne stigmatizza l’incapacità di far fronte all’insicurezza dell’area.      

Che la situazione sia particolarmente complicata lo dimostra anche il fatto che le autorità della Comunità degli Stati dell’Africa Orientale (Eac), da tempo, hanno deciso di schierare nel Nord Kivu una forza militare con l’obiettivo di ripristinare la pace. Già nella regione sono presenti truppe del Kenya, del Burundi, dell’Angola e dell’Uganda per combattere i gruppi armati che però non sono passate all’offensiva, anche perché non sono ancora state chiarite dalla Eac le regole di ingaggio. Molti analisti ritengono che queste forze abbiamo solo una funzione di presidio del territorio. Altri ancora, invece, sostengono che i paesi che hanno deciso di mandare i propri soldati non abbiamo intenzione di combattere contro i ribelli dell’M23 per non irritare il Ruanda.

In questa situazione di stallo i ribelli fanno un po’ quello che vogliono e disattendo i vari accordi di cessate il fuoco e non sembrano disposti a negoziare, se non con il governo di Kinshasa, ma non con l’Eac. Proprio per queste ragioni il presidente angolano Joao Lourenco, mediatore dell’Unione africana per la risoluzione della crisi nell’Est dell’Rdc, ha deciso di inviare un contingente di circa 500 soldati, nell’ambito della forza regionale per il ripristino della pace. Ma il ministro degli Affari Esteri congolese, Christophe Lutundula, si è premurato a spiegare che le truppe non sono in Congo per “attaccare, ma per controllare come stanno andando le cose”.      

In tutto questo caos a pagarne il prezzo più pesante e sanguinoso sono i civili costretti, in continuazione, a fuggire dai combattimenti e a trovare rifugio in situazioni di precarietà con nessuna assistenza umanitaria. Dai territori teatro degli scontri tra ribelli dell’M23 e esercito congolese, Rutshuru e Masisi, nel solo mese di febbraio sono fuggite più di 300mila persone, facendo pressione sulla città di Goma, esacerbando ancora di più la popolazione che vede un moltiplicarsi di truppe, anche straniere, sul loro territorio senza che questo porti alla pace.

Tags:
attanasiocongo