Reportage: Wojtyła coprì abusi su minori. Tarro:“Ammettere voleva dire finire”
Lo scoop di TVN24 Polonia. L’epopea del prof Tarro che grazie a Maurizio Costanzo salvò il Papa: “Sicuramente sapeva degli abusi ma non poteva fare altro”
Il professore Giulio Tarro che salvò il Papa dopo l’attentato: “Per la Chiesa ammettere gli abusi avrebbe voluto dire indebolire se stessa, in un gioco di poteri. Era un altro mondo”
Il reportage della tv polacca TVN24 ha scosso i cattolici: quando era cardinale a Cracovia, Papa Wojtyla avrebbe coperto gli abusi sui minori nella Chiesa polacca, trasferiva i responsabili ma senza dire nulla.
Ne abbiamo parlato con il professor Giulio Tarro, oggi 84enne, che gli salvò la vita dopo l’attentato di Ali Ağca nel 1981 a Roma. Con Wojtyla in fin di vita fu Maurizio Costanzo ad arrivare al dottore napoletano che conosceva una cura. Una storia che i giornali mainstream e la rete non ricordano ma che si lega alle scoperte di oggi.
“Sugli abusi c’è da dire che bisogna capire: quello era un mondo totalmente diverso, sono passati 50 anni. Oggi appare incomprensibile ma la Chiesa non poteva mostrare debolezze e falle. Era uno dei principali attori nella lotta del mondo diviso in due blocchi. I tempi non erano adeguati per fare altro, sugli abusi!”, dice a bruciapelo Tarro ad Affaritaliani.
Le violenze però c’erano. La Chiesa non poteva imboccare una strada diversa? Poi un leader come Papa Wojtyla, dal carattere così forte, era un pastore ferreo e volitivo, duro… non poteva non conoscere sia i casi che le dimensioni del fenomeno...
“Sicuramente sapeva. Però in quel momento quella era la decisione più giusta, non c’era lo spazio per fare altro”
Anche spostare i sacerdoti che avevano commesso violenze da una zona all’altra, senza allertare chi li accoglieva, come è stato raccontato anche negli USA, non fa che perpetuare il fenomeno?
“Ah certo, nella Chiesa americana è stato un disastro. Però la Chiesa degli anni di Wojtyla ha rotto la cortina di ferro, c’erano aspetti politici più importanti che passavano su tutto il resto”
Quindi per la Chiesa ammettere gli abusi avrebbe voluto dire indebolire se stessa in un gioco di poteri e di credibilità?
“Si, questo era il vero problema”
Cosa avrebbe potuto fare Woytyla che non ha fatto?
“Allora, era quello che Wojtyla poteva fare. Su questo fronte aveva delle limitazioni. Dopo 40 anni abbiamo questi frutti anche nell’ambito della Chiesa polacca. Era un seme che poi è germogliato oggi. Si figuri che Wojtyla aveva vissuto il sacerdozio nel suo Paese in modo più libero dei nostri preti, ed è stato un innovatore: ragionava sul se un sacerdote potesse costruirsi una famiglia, come nel cristianesimo inglese. La Chiesa polacca in quella fase storica fu molto innovativa e aveva una grande apertura”
Come cambia l’uomo di potere oggi?
“Io Wojtyla l'ho curato e lo conoscevo bene. Ho una foto della mia mano fra le sue. Un'altra volta mi ha regalato le coroncine del rosario per mia madre e mia sorella. Gli ho portato la signora Sabin, vedova del marito. Ho fotografie e stampe dell'epoca. Oggi l’uomo che sta al vertice di un mondo è cambiato profondamente, possiamo cogliere i frutti di un cambio alle radici, in questo caso in meglio, poi ci sono altri problemi”
Parlando di minori viene alla mente la sparizione di Emanuela Orlandi che accadde proprio in quegli anni. E’ stata più volte collegata all’attentato al Papa ma anche ad altre vicende del Vaticano. Le ne ha sentito parlare nell’entourage vaticano che ha frequentato?
“E’ una vicenda dolorosa che resta davvero insoluta. Non me ne sono mai occupato. E’ comprensibile che la famiglia cerchi ancora la verità ma non so fino a che punto possa venire fuori oggi a distanza di tanti anni”
Come è cambiato il mondo di oggi rispetto ad allora?
“Oggi mi preoccupa un mondo dove l’abuso può diventare un sistema di costume. Se con tanta leggerezza si può cambiare sesso, come insegnano nelle scuole americane, diventa semplice anche superare altri limiti”
Ci racconti come arrivò a salvare il Papa. Erano giorni drammatici e tutto il mondo guardava a piazza San Pietro. Si pensava a un attentato sovietico e che potesse scoppiare la terza guerra mondiale...
“Dopo l’attentato mortale il Santo Padre fu sottoposto a numerose trasfusioni e aggredito dal cytomegalovirus. I medici del Gemelli, dove era ricoverato, sostenevano si dovesse solo aspettare una reazione naturale dell’organismo. Per loro c’era poco da fare. Esisteva invece una terapia e mi sembrava incredibile non fosse stata utilizzata”
In questa storia c’entra Maurizio Costanzo, vero?
“Sì, fu il suo giornale, L’Occhio, grazie a una giornalista segretaria, che aveva lavorato all’Istituto dei tumori di Milano, a rivelare che c’era un esperto che poteva trovare una soluzione. L’entourage polacco del Papa scavalcò il Gemelli che non aveva alcuna intenzione di seguire i miei consigli. Ci furono molte polemiche. Mi contattarono bypassando l’ospedale. Il mio stesso maestro italiano era quello che aveva scoperto il fenomeno dell’interferenza virale ed era arrivato all’Interferone come cura. Ero poi stato allievo del professor Sabin che era di origini polacche, di Białystok, quindi...”
Lei, che in quel momento era al Cotugno di Napoli, che fece?
“Intervenni per spiegare cosa andava fatto. Ci furono consultazioni continue tra Napoli e Berna. Chiamai il mio amico in Svizzera, il professor Gabriel Emodj, un collega ungherese, che faceva la produzione dell’Interferone e che aveva avuto eccezionali risultati con quelle proteine. I polacchi mi contattarono e fecero arrivare l’Interferone a Roma. Intervenne il professor Riva e tutto andò per il meglio”
Molti non ricordano. Tutto era segreto, non si capiva se quanto trapelato sulle condizioni di Wojtyla corrispondesse al vero, in un mondo di spie che si muovevano per l’Europa...
“Esattamente, era un mondo molto complesso e fatto di giochi di potere sotterranei che si scambiavano. Quel fatto drammatico non era di facile gestione per nessuno degli attori in campo. Tutto si muoveva pochissimo”
Ha poi rivisto Maurizio Costanzo?
“Sì, mi ha invitato in un programma Tv che faceva al tempo. Eravamo solo io e Sergio Gonella, l’arbitro italiano famoso per aver diretto la finale del mondiale di calcio del 1978, Argentina-Olanda. Anni dopo anche al teatro Parioli”
E come fu l’incontro col Papa, c’erano protocolli rigidissimi dopo l’attentato...
“L’ho incontrato 6 mesi dopo e mi prese la mano tra le sue, erano bollenti in modo esagerato. Aveva il cosiddetto ‘prana’”
Nelle mani?
“Sì, oggi spieghiamo questi fenomeni non dal punto di vista trascendentale. Ma le sue bollivano. Diamo molto importanza a questi aspetti che sono fenomeni vascolari”
Quando le hanno chiesto di intervenire per salvare il Papa, in questo caso mettendosi anche contro il Gemelli, cosa ha pensato?”
“Che era un bene che avessi quei contatti per essere subito operativo”
Ha avuto paura, timore, di doversi occupare di una cosa così delicata?
“No, assolutamente, su queste cose sono molto preciso, conoscendo bene la materia”
Colpì molto che il Papa volesse incontrare il suo stesso attentatore e perdonarlo. Un uomo anche di potere quindi molto diverso da quelli che vediamo oggi
“E' quello l’insegnamento della Chiesa: abbracciare anche il proprio nemico. Essere sempre disponibili per una catarsi. Deve essere possibile. Anche perché l’uomo è qualcosa di complesso”