Il libro del generale Vannacci: militari sull’orlo di una crisi di identità

Il generale Vannacci non è fascista, non è omofobo, non è razzista ma non è neanche un pensatore e qualcosa nella sua opera non torna

di Antonio Amorosi
Culture

Cosa c’è davvero nel libro di Vannacci destituito dal comando. Se in tv sfilano showgirl e virologi, a fare i pensatori, raggiuggendo le vette di pensiero che abbiamo visto...

 

Ma qualcuno l’ha letto davvero il libro del generale Vannacci?

Il generale non è fascista, non è omofobo, non è razzista o separatista e lo si comprende leggendo “Il mondo capovolto”, libro che gli sta procurando un procedimento disciplinare e la rimozione dall’incarico a capo dell’Istituto geografico militare di Firenze. Il testo, letto nel suo insieme, ha il limite e contemporaneamente il pregio di non avere la complessità che ti aspetteresti da un pensatore; pregio perché fa emergere quella “pancia” degli italiani (quello che molti pensano) che da decenni si seppellisce col politicamente corretto ma che non si estinguerà dalle teste delle persone con i buoni sentimenti stile Mulino Bianco.

Ma emerge un primo problema: Vannacci è un generale dell’esercito e sa meglio di chiunque altro che la visibilità attribuitagli con il libro non è derivata dalla scoperte edotte dalla sua ricca dialettica bensì dal dato incontrovertibile che sia un generale in carica a parlare, che avrebbe dei vincoli  stringenti oltre il sacrosanto diritto alla libertà d'espressione. 

Con tre lauree all’attivo, Scienze Strategiche, Scienze Internazionali e Diplomatiche e Scienze Militari, una storia da pluridecorato in prima linea in Somalia, Rwanda, ex Jugoslavia, Libia, Afghanistan, Iraq e battaglie che andrebbero oltre l’encomio come quella sulle omissioni sulla salute dei soldati a contatto con l’uranio impoverito in Iraq, il generale lungo tutto il libro si scaglia contro l’egemonia culturale delle minoranze che si manifestano nel nostro tempo. Tratta diversi temi del dibattito pubblico, dalle grandi questioni ecologiche alla conversione green, dalla violenza sulle donne alla legittima difesa, e poi la società multiculturale, il mondo lgbtq+, la patria, la famiglia e si chiede se “privilegiare sempre l’opinione minoritaria, il comportamento dissenziente, il parere obbligatoriamente discordante non ci induca a rappresentare un Paese diverso dalla realtà”. Per capirlo basti leggere frasi come questa: “Allora mi chiedo il perché ci sia una palese sovra-rappresentazione della comunità lgtbq+++ nei mezzi d’informazione nazionali e internazionali ed una ipersensibilità nell’affrontare l’argomento?”

O pagine così: “Anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri, anche se vi sono portatori di passaporto italiano che pregano nelle moschee, ciò non cancella 2000 anni di cristianità. La società cambia, e così la cultura, ma ogni popolazione ha il sacrosanto diritto, ed anche il dovere, di proteggere le proprie origini e le proprie tradizioni da derive e da tangenti che le snaturerebbero. Sono ormai più di cinquant’anni che abbiamo McDonald’s in Italia e che milioni di italiani si cibano dei suoi prodotti, ma nessuno si azzarda a dichiarare che i panini con hamburger e ketch-up facciano parte della cucina tricolore”. 

Per colpire, le frasi colpiscono e il problema delle lobby che condizionano i media esiste eccome ma la realtà concreta è un po' più complessa di come la descrive il generale. Per dirne qualcuna una ricerca dell’Università dell’Iowa, e non solo quella, ha dimostrato che i panini con gli hamburger sono proprio un’invenzione degli antichi romani, sappiamo che almeno fino a Caravaggio nei quadri si raffiguravano solo i ricchi e potenti, non certo chi vivendo in Italia aveva una carnagione tendente al nero (che al Sud è diffusa), che il Belpaese è luogo di invasioni, occupazioni e attraversamenti, è terra di meticciato profondo che come scriveva il filosofo Friedrich Nietzsche con le sofferenze e l’adattamento crea uomini più forti, più abili, più evoluti. Volenti o nolenti le contaminazioni sono la cifra del nostro Paese e non l’eccezione e proteggere le proprie origini e le proprie tradizioni è legittimo ma al tempo stesso labile e opinabile perché i confini del tutto appaiono incerti o relativi.

Vannacci scrive anche pagine da uomo della strada: “Dove si trova lo Stato quando il malvivente è già entrato nella mia camera da letto con una spranga in mano e minaccia me e la mia famiglia. Perché non dovrei essere autorizzato a sparargli, a trafiggerlo con un qualsiasi oggetto mi passi tra le mani o a catapultarlo giù dalle scale o dalla finestra dalla quale sta tentando di entrare e renderlo per sempre inoffensivo. Claudia Fusani, che come molti altri oltranzisti in ogni trasmissione si schiera contro il possesso di armi cosa propone? Se non posseggo un’arma, almeno quale extrema ratio, cosa posso fare? Quale sarebbe l’alternativa dell’onesto cittadino? Aspettare, arrendersi e pregare che i malviventi siano magnanimi? Dar loro tutto quello che chiedono? E se oltre ai soldi, gioielli e valori che mi sono costati anni di sacrifici e di onesto lavoro volessero anche farsi una sveltina con mia moglie o con mia figlia minorenne?” 

In fin dei conti la cosa che fa più sorridere, e tenerezza, è proprio la sua apparente fiducia nella collettività, nel sistema democratico in cui vive, che lo porta a scrivere un libro del genere e ad esprimere le proprie idee invece di eseguire quelle degli altri. “Al solito”, ammette, “è stata la natura stessa del mio carattere a vincere, la soddisfazione di dire apertamente e direttamente quello che penso senza troppi diversivi e accettando serenamente le conseguenze della mia manifesta sincerità.” 

Vannacci appare da una parte come la plastica rappresentazione di un militare, che immaginiamo si sia trovato tutta la vita ad eseguire ordini o a darli, e dall’altra come un’uomo del nostra epoca devastata dagli opinionisti televisivi della società dello spettacolo. Il generale non è un pensatore, un filosofo ma un uomo d’azione che forse non capisce più la società in cui vive, per le contraddizioni e la complessità che si porta dentro, dove le questioni acquisiscono senso solo seguendo una forte impronta ideologica che lui non condivide.

Ma rimane inevasa la domanda: perché non ha scritto un libro tecnico sul suo mestiere ma da opinionista televisivo? In Italia abbiamo visto medici fare i cantanti, virologi i commentatori tv, comici fondare partiti di governo, magistrati diventare amministratori pubblici e contemporaneamente segretari di partito, e così anche gli imprenditori, i cooperatori, i professori universitari, i giornalisti, eccetera.

Se in tv sfilano showgirl e virologi, a fare i pensatori, raggiungendo le vette di pensiero che abbiamo visto anche durante il Covid chiunque può pensare che è interessante esprimere le proprie opinioni, anche se non ha specifiche competenze in materia. 

Non è che il generale vuole, anche legittimamente e per motivi che non conosciamo, fare altro nella vita? Nella società dello spettacolo c’è sempre da temere che la malattia che di recente ha colpito i virologi in tv possa aver contagiato anche gli uomini in divisa, visto che di recente i graduati, come nel caso del generale Figliuolo, vengono utilizzati per sbrogliare matasse. 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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