Cimolai, il gigante dell'acciaio affossato da una montagna di derivati
Debiti per 500 milioni, chiesta la revisione con uno sconto dell'85%. Nessun problema industriale, ma sottoscritti prodotti finanziari rischiosissimi
Cimolai crolla sotto il peso dei derivati
C’è una certa ironia nel leggere che un’azienda resa celebre dalla realizzazione di strutture in acciaio complesse cada per un castello di carte. Si parla di Cimolai, impresa friulana con oltre 70 anni di storia e una lunga lista di commesse che però finisce in crisi a causa di titoli derivati che hanno letteralmente fatto saltare il banco. Non si tratta, infatti, di un problema industriale, di mancanza di ordini o di esplosione dei costi a causa dell’inflazione; ma semmai di un intricato sistema di garanzie e contro-garanzie per proteggersi sui mercati finanziari che si sono però rivoltati contro l’azienda. Il debito ha raggiunto quota 500 milioni e i creditori sono sul piede di guerra.
La Cimolai aveva realizzato per Allseas – una delle maggiori compagnie internazionali nel campo offshore con sede in Svizzera, specializzata in posa di condotte, sollevamento pesante e costruzione sottomarina – due travi di acciaio della lunghezza di 170 metri ciascuna. Non solo: c’è anche la costruzione di quattro moduli destinati ad alloggiare parte degli impianti e dei macchinari per il trattamento del gas naturale liquefatto (LNG) del terminale di Kitimat, nella regione British Columbia in Canada; il telescopio più grande del pianeta, l’ELT nel deserto dell’Atacama in Cile; il padiglione degli Emirati Arabi Uniti all’Expo 2021 di Dubai, lo stadio di Al Bayt in Qatar per i mondiali di calcio, le paratoie per il nuovo canale di Panama, la stazione della metropolitana “Oculus” di Calatrava a Ground Zero a New York, la struttura a nido d’ape Vessel e il centro culturale The Shed entrambi sempre a Manhattan. In Italia, tra le altre opere, Cimolai ha costruito il nuovo Terminal dell’Aeroporto di Fiumicino a Roma e la stazione ferroviaria AV di Reggio Emilia.
Insomma, un portafoglio ordini ampio e ricco per un controvalore di circa 800 milioni. Eppure… A quanto risulta ad Affaritaliani.it, a sottoscrivere i contratti non sarebbe stata la famiglia Cimolai, ma il Cfo e altri manager dell’area finanziaria, prontamente allontanati. E il broker londinese Jb Drax che, come riporta Il Sole 24 Ore, avrebbe messo in piedi dei prodotti fantasiosi, con nomi bizzarri e strumenti speculativi e rischiosissimi. Tant’è l’azienda ora cerca di rifarsi proprio sul broker a Londra e ha già avviato una causa legale.
Bloomberg pubblica anche l'elenco completo delle passività e delle controparti dei derivati di Cimolai: Macquarie Bank 49.5 (in milioni di euro); Deutsche Bank 19.5, JB Drax 13.3, Ballinger & Co. 12.6, Natwest 11.5 million, AFEX Markets Europe Limited (Corpay) 11.3, Ebury Partners Belgium 10.6, Corner Banca 9.1, Alpha FX Europe 7.1, Natixis 6.9, Intesa Sanpaolo 5.7, Morgan Stanley 5.3, GPS Capital Markets 3.9, Western Union International Bank 2.8, BPM 2.5, Banca Nazionale del Lavoro 2.3, Hamilton Court FX 2.2, Global Reach 1.1, Mediobanca 986 mila euro, Banca Monte dei Paschi di Siena 706 mila; Argentex Group 678 mila.
Cimolai sta cercando di rinegoziare il maxi-debito da 500 milioni con uno sconto dell’85% con i creditori. Ci riuscirà? È tutto da verificare. L’azienda la scorsa settimana ha anche avviato le procedure di concordato preventivo dopo che nei mesi scorsi era emerso che la famiglia era pronta a vendere una quota di minoranza a qualche socio. Chi? Si sono fatti i nomi soprattutto di WeBuild e del gruppo francese Vinci.
Altro tentativo che stanno facendo in Cimolai è quello, nel nuovo piano industriale, di dividere le attività del gruppo dalle passività. Insomma, creare una bad e una good company, facendo leva sul fatto che non si tratta di una crisi di ordini ma esclusivamente di carattere finanziario. Attualmente i fronti aperti sono due: oltre a quello di Londra di cui si è detto c’è anche quello a Trieste. Per l’azienda si prospetta una lunga battaglia per la sopravvivenza.