Confindustria, il comitato ombra non decolla: troppi rischi per i "vecchi"

Pesano i cattivi rapporti tra Marcegaglia e D'Amato, ma anche un calo continuo di reputazione: ecco perché il "concistoro" è sempre più lontano

Economia

Il comitato dei past president non riesce a decollare: ecco perché

Su Affaritaliani.it eravamo stati i primi – poi copiati in un modo che sta diventando ormai consuetudine – ad annunciare che per salvare Confindustria serviva un comitato ombra. Un “concistoro” di grandi vecchi, capaci di riportare Viale dell’Astronomia al ruolo preminente che le compete(va). Ma qualcosa si è guastato. I nomi sono quelli che sono circolati: i “past president” sarebbero Emma Marcegaglia, Luca Cordero di Montezemolo, Antonio D’Amato, Vincenzo Boccia, Giorgio Fossa. E rimane la convinzione che soltanto un club di valorosi possa risollevare Confindustria ormai relegata nell’oblio. Perché la verità è proprio questa: la progressiva scomparsa di Viale dell’Astronomia dall’agenda economica e politica nostrana, per cui l’associazione che dovrebbe proteggere gli interessi di imprenditori e industriali è ormai ridotta al lumicino. 

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Solo che questa diminuzione del peso specifico si tramuta in un problema ulteriore: i “past president”, pur provando a impegnarsi per l’associazione che hanno diretto, non riescono più ad avere il mordente di prima. Scaramucce interne – la cordiale antipatia tra Marcegaglia e D’Amato è cosa risaputa -, qualche problema di troppo con l’intera istituzione, come nel caso dell’addio burrascoso di Fossa dal Sole 24 Ore: Confindustria non ha più l’appeal necessario e quindi anche i salvatori non vogliono compromettere in maniera così marcata la loro reputazione.

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Come se ne esce? Difficile dirlo. Da una parte c’è la consapevolezza che i vari candidati che si sono alternati sono al momento più nomi buoni per la stampa che reali candidati. Abbiamo raccontato di un Emanuele Orsini che si dice pronto a schierare le truppe dell’Emilia Romagna e della Toscana. Ma senza il placet della Lombardia e, in misura minore, del Lazio non si va da nessuna parte. Si prosegue in un impasse preoccupante, con Carlo Bonomi che prima ha dato ad Alberto Marenghi il più terribile dei baci della morte; poi ha cercato di mascherare da beau geste (con il nome di Luigi Gubitosi) il suo tentativo finale di rientrare nel cda della Luiss; quindi ha rotto gli indugi e ha cercato di far approvare una norma ad personam che gli consenta di diventare comunque presidente dell’università romana. 

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In tutto ciò, qualche scivolone al limite della macchietta: indimenticabile l’intervista al Forum di Davos in cui il presidente di Confindustria si fece intervistare dall’inviata del Tg5. Che, dettaglio non da poco, era anche la moglie, Veronica Gervaso. Un’associazione gloriosa ridotta a orticello del capo. Una china un po’ triste che può essere invertita solo da un coraggioso che decida di autocandidarsi (a causa del mai abbastanza vituperato rinnovo dello statuto) sperando di non venir affossato da un altro candidato, magari sconosciuto, che possa contare sui voti di tante piccole territoriali. Il sentiero è impervio. O si trova una soluzione convincente, oppure si rischia un ulteriore passo verso l’anonimato. 
 

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