Corte Ue, schiaffo ad Airbnb: "Sulle locazioni brevi ha ragione l'Italia"

Accolte le richieste del sito di affitti per evitare di nominare un rappresentante fiscale

Economia

Corte Ue, schiaffo ad Airbnb

La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha dato parzialmente torto ad Airbnb nel ricorso sul regime fiscale italiano per le locazioni brevi introdotto nel 2017: in base a questa legge, infatti, si può chiedere di raccogliere informazioni e dati sugli affitti realizzati. E, cosa ancora più importante, si può chiedere di applicare la ritenuta d'imposta alla fonte (la cedolare secca) prevista dal regime nazionale. Il tribunale ha dato invece ragione ad Airbnb sulla parte relativa all'obbligo di designare un rappresentante fiscale, giudicato "una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi". 

L'obbligo di ritenuta dell'imposta alla fonte s'impone, secondo i giudici a Lussemburgo, tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall'Italia, quanto alle imprese che hanno ivi uno stabilimento. La Corte esclude, dunque, che sia possibile ritenere che detto obbligo vieti, ostacoli o renda meno attraente l'esercizio della libera prestazione dei servizi. Rispetto alla parte della sentenza in cui il tribunale a Lussemburgo ha dato invece ragione ad Airbnb, quella cioè sull'obbligo di designare un rappresentante fiscale, il fatto che l'amministrazione fiscale disponga già delle informazioni ad essa trasmesse relative ai contribuenti, segnala la Corte, è tale da semplificare il suo controllo e dà ancor più rilevanza al carattere sproporzionato dell'obbligo di designazione di un rappresentante fiscale. 

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