De Benedetti, la famiglia che poteva essere potente e scelse di essere ricca

Dall'avventura fallimentare in Fiat alla miopia di Olivetti fino alla tranquillità di Sogefi

di Marco Scotti
Marco De Benedetti, Carlo De Benedetti e Rodolfo De Benedetti
Economia

De Benedetti, la famiglia che ha scelto di essere ricca e non potente

Olivetti, Fiat, Sorgenia. Non sono consigli per gli acquisti di qualche gestore di fondi, ma l’elenco dei principali fallimenti di Carlo De Benedetti. L’ingegnere, come ama farsi chiamare forse per contrapporsi all’Avvocato, ha collezionato qualche scivolone di troppo. Prendiamo la Fiat: arriva al timone dell’azienda della famiglia Agnelli dopo aver portato in dote la sua impresa di acciaio e ricevendone in cambio il 5% delle azioni. Mica male, no? L’ingegnere, all’epoca 42enne, durò invece pochi mesi prima di uscire dalla porta di servizio con un bel malloppo. Che cosa accadde in quei giorni rimane un mistero, l’ingegnere si limitò a dire che l’azienda perdeva “una barcata di denaro” (sue precise parole). Con tanti saluti al sogno di diventare il capo della Fiat, dopo essere arrivato al vertice grazie ai buoni uffici di Umberto Agnelli che fu suo compagno al San Giuseppe di Torino tra la fine delle medie e l’inizio del ginnasio.

Da lì la carriera imprenditoriale cresce con andamenti ondivaghi. Entra in Cir (Concerie Industriali Riunite) e ne fa una grande holding industriale. Ottima mossa, no? Più o meno. Compra Olivetti, un meraviglioso polo d’innovazione e ne fa un realtà ancora più importante. Capisce che si deve puntare su computer, fax, stampanti e in effetti riporta l’azienda in utile. Ma commette un errore da matita blu: non scommette su Apple. Durante un viaggio in California, infatti, vuole la leggenda che due giovanotti di belle speranze – Steve Jobs e Steve Wozniak – gli abbiano chiesto di puntare sulla loro “garage company”. E l’Ingegnere disse no. Madornale errore. Sua la responsabilità di aver lasciato l’Olivetti, nel 1996, in braghe di tela nelle mani di un Roberto Colaninno che l’anno dopo la fuse con Telecom dando vita alla madre di tutte le tragedie industriali del nostro Paese. L’attuale Tim fu gravata da un debito monstre da cui non è più riuscita a liberarsi. 

C’è poi la vicenda di Sorgenia, nata sfruttando le liberalizzazioni di Bersani avviate alla fine del Millennio scorso e divenuta rapidamente un gigante dai piedi d’argilla, oberata di debiti. Alla fine, De Benedetti e la sua Cir uscirono dal capitale dell’azienda che passò alle banche, venne rimessa in sesto e ricollocata sul mercato. Partite degne di nota, se così si può dire, quelle nel Banco Ambrosiano Veneto guidato da Roberto Calvi: De Benedetti acquistò il 2% del capitale, ne uscì rapidamente e venne accusato di bancarotta fraudolenta prima di venire assolto in Cassazione. E poi c’è la grande storia del Lodo Mondadori. Il processo con Berlusconi portò alla fine a un risarcimento nei confronti dell’Ingegnere di oltre 450 milioni di euro. Senza, infine, dimenticare Sme.

Nel 2012 la scelta di fare un passo indietro e di lasciare tutto ai figli. I quali non se lo sono fatto ripetere due volte e hanno progressivamente preso possesso della galassia paterna. Nel 2017, divenuti proprietari del gruppo editoriale Gedi-L’Espresso, hanno deciso di venderlo “a pezzi” agli Elkann. I quali, probabilmente, si sono pentiti amaramente dell’investimento profuso. Tant’è che hanno venduto il mitologico settimanale a “Mr Miliardo” Iervolino e ora sarebbero intenzionati a mollare anche Repubblica, nonostante le rassicurazioni di prammatica del direttore Maurizio Molinari.

Ecco, la storia della famiglia De Benedetti è un po’ tutta qui: sempre presenti nelle grandi partite industriali, senza però mai spingere attivamente per diventare classe dirigente, potere vero, quello che smuove l'Italia. La “radicalità” invocata dall’Ingegnere nella sua ultima fatica è in realtà quella che è mancata alla famiglia. Che ha sempre vissuto con poco coraggio e oggi può contare sulla sola Sogefi, azienda di componentistica auto che pur senza essere tornata sui livelli pre-Covid, rimane una bella realtà. E poi c’è Kos, attiva nel mondo dei servizi sanitari. 

De Benedetti, ricco come Creso, si gode una vecchiaia dorata cercando disperatamente di farsi notare. I figli, che col padre hanno un rapporto conflittuale, hanno abbandonato rapidamente qualsiasi velleità di essere classe dirigente, di governare le sorti economiche del Paese (come avrebbe fatto Berlusconi, Agnelli e via dicendo). Hanno scelto di essere ricchi e nulla più. Comprensibile, per carità. Ma un po’ spiace.  
 

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