Economia
Chip, un business che taglierà fuori l'Italia. Ecco quando finirà la crisi
L'intervista all'economista e prorettore del Polo territoriale cinese per il Politecnico di Milano Giuliano Noci sul tema della crisi dei semiconduttori
La crisi dei microchip si ridurrà drasticamente entro i prossimi due o tre anni, parola dell'economista Giuliano Noci
Per un Paese, oggi fabbricare microchip è importante quanto produrre petrolio. Infatti, quasi ogni singolo oggetto esistente ha al suo interno un semiconduttore, dalle lavatrici agli armamenti. Ebbene, oltre alla crisi sanitaria e a quella internazionale, da qualche tempo il mondo deve vedersela con la crisi dei chip.
Ma quanto durerà questa forte carenza che, nel 2021, ha fatto perdere ben 98 miliardi di euro nel solo settore dell’automotive europeo? Per capirne di più, abbiamo interpellato Giuliano Noci, economista e prorettore del Polo territoriale cinese per il Politecnico di Milano.
“Il vero ostacolo per produrre più semiconduttori e ovviare alla crisi non è solo la mancanza di soldi”, esordisce Noci. “Infatti”, continua “costruire i chip (soprattutto i più avanzati) è un’operazione estremamente complessa. Servono competenze altamente specifiche che, anche con i fondi necessari, richiedono diversi anni per essere sviluppate. Si parla di livelli di competenza così alti da lasciar fuori, per ora, anche colossi come Stati Uniti e Cina. Il problema, dunque, è l’elevata competenza verticale”.
“Ma accanto a questa già enorme difficoltà”, continua l’esperto, “si pone anche una grande asimmetria globale che rende ancor più complesso lo sviluppo di questi componenti. Per quanto la progettazione sia salda in Olanda e negli Stati Uniti, la produzione è ancora quasi inesistente e ‘affidata’ all’Asia. Infatti, oltre il 70% della capacità produttiva di microchip è situata a Taiwan, un Paese non proprio tranquillo…”.