Democrazia economica, in Italia è sempre meno: in 30 anni banche dimezzate

Se non c’è libertà economica non c’è libertà civile. In Italia è aumentata la concentrazione delle banche e si è ridotta la diffusione sul territorio

di Antonio Amorosi
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La crisi della democrazia passa dalla banche: ecco perché. Lo spiega uno studio

Nel 1993 le banche italiane erano 1037, oggi, nel 2023, sono 434. Meno della metà sono sparite. E’ questo il risultato devastante della ricerca della Fondazione Fiba, Banche 1993-2023, un cammino lungo trent'anni traterritorio, economia e società, sviluppato dall'Osservatorio sulla desertificazione bancaria di First Cisl.

La concentrazione bancaria, meno banche e concentrate in poche mani, fa sì che vi sia sempre meno disponibilità di credito alle persone e alle imprese che creano posti di lavoro e quindi minore libertà economica collettiva. 

Quando le banche erano 1037, 771 di queste, spiega lo studio, erano istituti di credito cooperative a vocazione territoriale e banche popolari. “Il fenomeno della desertificazione”, mostra con i numeri l’analisi. “viene innanzitutto misurato con la diminuzione degli sportelli sul territorio ma i numeri veri sono quelli che riguardano il tessuto economico, le persone e le imprese, sulla base dei quali si possono studiare gli effetti in termini di inclusione”. 

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Bisogna sapere che addirittura il 36,45% dei Comuni del Molise non ha neanche uno sportello bancario e nelle stesse condizioni sono il 32,6% dei Comuni della Valle d’Aosta e il 29,44 della Calabria. “L’Osservatorio affronta anche quello che si può definire il falso mito della digitalizzazione, cioè l’idea che dove non ci siano sportelli bancari le persone possano agevolmente supplire utilizzando l’internet banking. Idea smentita dai dati che evidenziano come la popolazione che utilizza l’internet banking sia minore proprio lì dove vi sono meno sportelli”.

Cosa è accaduto in 30 anni?

In Italia si è ridotto il numero di banche ed è aumentato il processo di concentrazione “in misura più che proporzionale rispetto ad altri Paesi”. Ancora più chiaro è il passaggio successivo dello studio: “il livello di concentrazione del sistema bancario italiano è pertanto tra i più alti in Europa, con le prime cinque banche del Paese che controllano oltre il 50% del mercato domestico (a inizio secolo si arrivava appena al 20%), contro il 46,44% della Francia e il 35,02% della Germania”.

Il processo di concentrazione e la minore democrazia economica in Italia ha avuto due momento di accelerazione: la prima dopo la crisi finanziaria del 2008- 2009, che “ha portato nel solo 2010 a una crescita di 8,88 punti percentuali; la seconda dopo il ‘pacchetto’ di riforme avviate nel 2015 (governo Renzi, ndr), che ha portato, con una crescita di 10,64 punti nel giro di 6 anni, al superamento nel 2021 della fatidica soglia del 50%. Interessante anche il confronto con Francia, Spagna e Germania, ai quali è ‘mancata’ la seconda fase di accelerazione, e che hanno reagito alla crisi finanziaria in modo differente, ma comunque in modo non così ‘violento’ come in Italia”, spiega l’analisi.

La transizione digitale è sicuramente inevitabile, ma la digitalizzazione “deve essere posta al servizio della società e non essere considerata un fine”, spiega l’Osservatorio. La mancanza di inclusione dovrebbe portare a modificare gli assetti bancari, con una partecipazione e un controllo su mission e finalità dei rappresentanti delle istituzioni politiche territoriali, delle banche, dei consumatori e delle organizzazioni sindacali. Buoni propositi ai quali non sembra esserci un seguito pratico che possa far credere in un’inversione della tendenza.

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