Formazione, cooperazione, tenacia parole d'ordine delle imprese resilienti

Gli Stati Generali delle piccole imprese e dei professionisti detta l'agenda con i politici e le istituzioni

di Marco Scotti
Economia

Stati Generali delle Piccole Imprese e dei Professionisti: l'obiettivo è la creazione delle società consortili per azioni

Formazione, cooperazione, resilienza, tenacia: quattro parole chiave che emergono chiaramente dalla quinta edizione degli "Stati Generali delle Imprese e dei Professionisti". Una due giorni organizzata da Valore Impresa, di cui Affaritaliani è orgogliosa media partner, che ha voluto porre l'accento su un'evidenza ormai non più procrastinabile: le aziende italiane nel loro "taglio" tipico sono troppo piccole. Troppo piccole per affrontare le difficoltà di una crisi economica non più così marcata come nel 2020 (peggior calo del pil in tempo di pace) ma strisciante e sfidante, tra incremento del costo dell'energia, inflazione e calo della produzione industriale. Ma anche con una sistemica carenza di competenze e di figure professionali capaci di rispondere alle nuove esigenze dell'economia nostrana.

Ecco dunque che l'unica arma per sopportare le aziende è quella di creare una Centrale Consortile, sulla falsariga di quanto già esiste per le Centrali Cooperative. Uno strumento giuridico che permette la federazione delle imprese attraverso l'aggregazione delle piccole aziende appartenenti a singole filiere produttive. Si tratta di una vera novità specie per un Paese come l'Italia, in cui i campanili e il campanilismo, l'orticello e il bene proprio sono sempre stati un ostacolo per la creazione di una cooperazione efficace. 

La proposta della creazione di una Centrale Consortile per azioni è stata portata da Valore Impresa, per voce del suo presidente Gianni Cicero, all'attenzione dei politici che in questi due giorni sono intervenuti, dal ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso al sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, passando per il presidente della Commissione finanze della Camera Marco Osnato e il viceministro all'economia Maurizio Leo. 

Come funziona la Centrale Consortile

La Centrale Consortile è una società per azioni a tutti gli effetti e diverge dal consorzio tradizionale che è invece un contratto tra più società. La Centrale è una federazione tra più imprese che ha lo scopo di delineare un’organizzazione comune. Opera quindi come una società a tutti gli effetti. “Il riconoscimento della Centrale Consortile- ha spiegato Gianni Cicero, presidente del network Valore Impresa – è necessario alle piccole e medie imprese per poter andare sui mercati esteri”. Ma i temi in campo sono stati diversi e, in più occasioni, si è trovata una convergenza tra mondo delle imprese e politica. “Dobbiamo porre – ha detto Claudio Durigon – anche il tema dell’occupabilità. Ci vuole una progettazione che sia almeno a 5 anni e che passi anche dalla contrattazione di prossimità”. La cooperazione tra aziende passa necessariamente su un altro tema, che negli ultimi anni è caro al mondo dell’imprenditoria, cioè la formazione.

Il ruolo della formazione

Proprio la formazione rappresenta uno dei capisaldi della trasformazione necessaria al mondo delle imprese per reggere l'urto dei nuovi scenari competitivi. In Italia mancano fino al 40% delle risorse necessarie, specialmente quelle tecniche, per rispondere alle esigenze delle imprese. Ecco perché è fondamentale che si cambi totalmente direzione sia per quanto riguarda il ruolo della scuola, sia per quanto concerne le aziende. “Da anni – argomenta Cicero – proponiamo che le aziende svolgano il ruolo di formatore con il coinvolgimento dei lavoratori più anziani nel ruolo di tutor, che favorirebbe un ricambio generazionale”. Un tema raccolto dallo stesso Durigon che ha spiegato anche come sia necessario intervenire sui centri per l’impiego, che oggi hanno minore capacità di trovare soluzioni per i giovani, rispetto alle agenzie per il lavoro. Di formazione e lavoro non poteva non parlare anche il presidente di Fonarcom Andrea Cafà, che ha spiegato: “Ritengo giusto – ha concluso - che ci sia un sistema di politiche attive, ma per costruirlo bene ci vogliono 30 anni di investimenti e la disponibilità delle parti sociali”.

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