Governo Meloni: minori stop ai porno. E' come fermare il mare con un cucchiaio
Il blocco ai minori è giusto? Risolve il problema delle violenze su donne e minori? Gli studi dicono che andrebbe fatto qualcosa di ben diverso
Lo sapevate che circa l’1,7% delle donne adulte USA hanno lavorato nell’industria del porno almeno una volta nella vita. La crisi del maschio occidentale ha a che fare con l’esplosione dei nuovi porno e...
Dopo le violenze sessuali di Caivano e vari casi di cronaca su stupri riguardanti minori, il governo di Giorgia Meloni, nella figura del pur coraggioso ministro della Famiglia Eugenia Roccella, sta pensando a un blocco dei siti pornografici per chi ha meno di 18 anni. Oltre ai problemi di privacy è un’idea semplicistica, a dire poco ingenua. Può far felice qualche genitore, terrorrizzato dal settore, ma è come fermare il mare con un cucchiaino o curare un cocainomane con l’eroina perché l’opzione potrebbe risultare addirittura controproducente.
Bloccare ai minori l’accesso ai porno, tramite app certificare e piattaforme controllate, non vieta loro di usufruirne, anzi. Come nei Paesi che l’hanno fatto, si ha solo l’effetto di spostarli in luoghi più nascosti e pericolosi della rete, dove pullulano dinamiche ben meno appropriate di quelle che si possono trovare su portali classici come Youporn o Pornhub, per citarne qualcuno.
Prima bisognerebbe interrogarsi su cosa sia oggi il porno e come coincida con la crisi del concetto di “maschile” occidentale. E poi non c'è alcuna prova che anche chi è nelle fasi più delicate della crescita faccia gesti emulativi solo perché vede scene pornografiche aggressive e di sopraffazione, per giunta minoritarie nel mondo porno. Sarebbe come pensare che le ragazze corrano a farsi suore solo perché empatizzano con il serial RAI di successo “Che Dio ci aiuti” o che le ragazzine d’Italia si denudino per strada perché stravedono per la star femminile dei Maneskin, Victoria, costantemente nuda sui social, ancheggiante mentre simula rapporti sessuali.
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C'è invece prova, da numerose ricerche (tra tutte vedi lo studio per l’Italia di La Marca sulla Generazione Y) che i minori distinguano sempre meno tra finzione e realtà, assimilando la violenza come gioco, luogo dove tutto diventa possibile. Il problema è il modello sociale diffuso in cui viviamo, non cosa passa nella pornografia che è solo uno specchio della società. Diverse statistiche americane, le poche di settore come quelle pubblicate dal portale Gitnux che si occupa di marketing e tecnologie o dal sito di giornalismo Truthout, delineano la tendenza mondiale.
L'industria del porno è forse il principale attore nel settore dell'intrattenimento: vale 97 miliardi di dollari ma potrebbe pesare ancor di più. La pornografia è un’industria multimiliardaria, difficile da tracciare per quanto sia multiforme e per tutti i settori che tocca perché viviamo in un capitalismo della solitudine che prolifera del profitto incessante senza limitazioni. Meno legami sociali hai e più sei produttivo e dipendente dal sistema burocratico generale.
“I massicci cambiamenti sociali nella forza lavoro e nel commercio negli Stati Uniti”, spiegano Harriet Fraad e Tess Fraad Wolff su Truthout, “hanno trasformato l’economia e influenzato fortemente le relazioni personali. Dal 1970, siamo passati dall'essere una società di persone collegate in gruppi di ogni tipo a una società di persone che troppo spesso sono disconnesse, distaccate e alienate le une dalle altre”. Si vive l’intimità e le fantasie sessuali sempre più da soli, tramite Internet.
Il 35% di tutti i download dalla rete sono legati alla pornografia. Il 25% delle richieste dei motori di ricerca sono legate al porno. E circa l’1,7% delle donne adulte USA hanno lavorato nell’industria della pornografia almeno una volta nella vita. Un numero pazzesco che dà l’avvitamento in cui siamo: i crolli dei lavori tradizionali sono coincisi con masse di ragazze e donne in difficoltà che sono approdate a un lavoro nel porno pur di avere un’economia.
Il 9% degli utenti di pornografia negli Stati Uniti sono bambini sotto i 12 anni. Scrive La Repubblica che in Italia, un minore su due oggi è fruitore di pornografia. Il 70% degli uomini degli Stati Uniti di età compresa tra i 18 e i 24 anni visita siti web pornografici almeno una volta al mese. La pornografia su Internet rappresenta anche il 20% delle vendite totali di e-commerce negli Stati Uniti.
Bisogna fare i conti con la nostra società che con il suo modello di rapporti umani mediati dalle tecnologie ha drasticamente alterato il modello delle relazioni intime. In più “gli uomini eterosessuali”, vista la perdita di posizione dominante dei maschi dopo numerose crisi economiche”, spiegano la tendenza sociale sempre quelli di Truthout, “hanno ormai paura delle relazioni amorose in cui le regole sono cambiate”. “L’immersione nella pornografia è sia la causa che il risultato della cupa solitudine nel tentativo di relazionarsi in un’America orientata al profitto e con un panorama di genere alterato. La pornografia fornisce un mercato redditizio che vende i suoi prodotti per mascherare la paura degli uomini eterosessuali di mutare aspettative di genere”.
La crisi del maschio occidentale si manifesta anche in questo paradossale perseguimento ad oltranza della virilità, nel tentativo di non perdere ruolo e funzione. Come scrive il sociologo Arnaldo Spallacci sulla crisi del maschile: “L’uomo appare quindi precario anche nel corpo e questo è uno dei motivi della crisi del maschile”.
Gli spettatori del porno “femminile” sono aumentati del 1.400% dal 2013 al 2017. Negli ultimi anni sono nati siti di tendenza come l’americano Blacked indirizzati al mercato femminile, dove le storie ordinarie raccontate mettono in scena sempre lo stesso cliché ad oltranza: giovani donne insoddisfate da relazioni interpersonali con maschi bianchi, trattati come sfigati, che costantemente si donano a muscolosi maschi neri “superdotati”.
“Il modo in cui capitalismo e solitudine si alimentano a vicenda”, raccontano i giornalisti di Truthout, “è presente nel momento in cui un numero crescente di uomini e donne rinunciano a innumerevoli opportunità di intimità in favore dell’esperienza di sedersi da soli con immagini fabbricate e orientate al profitto che spesso contengono messaggi polarizzanti e divisivi sulle relazioni di genere e sessualità”.
La censura governativa pensata come formula tecnologica, senza una cultura che istruisca su un sentimento diverso legato ai rapporti intimi è solo fuffa. Per agire contro la violenza e la sopraffazione nella sessualità servirebbe agire non contro il porno, ma creando una controcultura delle relazioni umani potente, capace di invadere la società, e quindi anche il porno, ma di cui, visto il modello economico-sociale imperante non si vede traccia.