La Marzocco, le macchine del caffè che hanno conquistato Usa e Dubai

Parla il ceo Bernardinelli: "Un luogo di lavoro deve essere confortevole". La ricetta segreta che si traduce in una crescita del 25% all'anno

di Marco Scotti
Guido Berardinelli, ceo di La Marzocco
Economia

La Marzocco, l'azienda che vuole bene ai dipendenti

“Non capisco perché l’eccezione debba essere un’azienda come la nostra, che cerca di garantire ai dipendenti un luogo di lavoro confortevole e non chi non dedica abbastanza attenzione alle proprie risorse”. Guido Bernardinelli, amministratore delegato de La Marzocco, azienda fiorentina che produce macchine per il caffè, racconta la sua avventura al timone dell'impresa. Non esattamente un luogo “normale” in cui lavorare, prova ne sia che la Marzocco ha ricevuto il riconoscimento di “Best place to work” nella categoria blue collar, cioè quella dedicata agli operai. E non basta: l’82% dei dipendenti consiglierebbe a un amico o a un conoscente di lavorare nell’azienda toscana. Insomma, c’è di che essere fieri. 

Bernardinelli, come nasce la vostra cultura di tutela e apprezzamento del dipendente?
È un impegno che nasce dall’aver vissuto situazioni spiacevoli nelle precedenti esperienze e quando abbiamo avuto la nostra chance di rivestire ruoli apicali abbiamo cercato di cambiare la cultura. Un luogo di lavoro deve essere a misura d’uomo, senza strumentalizzazioni di sorta. Abbiamo cercato di de-gerarchizzare la produzione, ci siamo impegnati per trovare nuovi business. Quando siamo arrivati la situazione era molto complessa, per questo abbiamo chiesto ai lavoratori uno sforzo, di essere in azienda anche il sabato o la domenica. Loro hanno capito l’eccezionalità del momento, hanno accettato e questo ha permesso di creare una relazione molto particolare.

Oggi le cose vanno decisamente meglio, fortunatamente, eppure ci tenete a mantenere un rapporto solido con le vostre risorse. È così?
Certamente. Creiamo percorsi formativi ad hoc per migliorare la competenza nel lavoro. Ma abbiamo anche creato occasioni di socialità, come le grigliate in azienda con le famiglie. Abbiamo cercato di ridurre le barriere e abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per creare un ambiente di lavoro in cui si evitasse la ripetizione costante. Vogliamo portare l’umanesimo industriale in fabbrica e non capisco perché questo faccia notizia, dovrebbe essere strano che non si dedichino attenzioni ai lavoratori, non il contrario. Stiamo rendendo l’uomo più libero e questo è stato percepito anche dal mercato, con i clienti che vogliono il nostro marchio, con una ripercussione estremamente favorevole sui risultati.

Ecco, perché non solo di buone condizioni di lavoro può vivere un’azienda: parliamo allora di numeri…
L’azienda lancia mediamente nuovi prodotti ogni 2-3 anni, il marchio è cresciuto tanto in popolarità. Noi ci rivolgiamo prettamente a bar ed esercizi commerciali, eppure nell’anno del Covid abbiamo visto aumentare del 3% le revenue e quest’anno pensiamo di raggiungere un commendevole +25%. Abbiamo un fatturato aggregato di circa 300 milioni, 15 anni fa ne facevamo 5. Abbiamo tre nuove filiali a Dubai, Parigi e Singapore. Complessivamente sono 12 uffici e 9 filiali. 

Quali sono i mercati principali?
Stiamo vivendo un vero e proprio boom negli Stati Uniti perché alcuni dei nostri azionisti “storici” sono americani e si è creata una sorta di Mbo tra manager Usa e italiani, con una grande esperienza nel più importante mercato. La nostra sede principale è a Seattle, dove abbiamo anche dei magazzini. Siamo leader negli Stati Uniti, le macchine sono simili a quelle che vendiamo in Italia, ma variano alcuni componenti necessari per avere degli standard specifici di approvazione. 

Le macchine sono customizzabili o in serie?
Nella nostra Accademia del Caffè espresso italiano abbiamo un’officina meccanica, quella dei fondatori originali. Così possiamo customizzare macchine ad hoc per uqalunque cliente del mondo, sia in versione unicum, sia per una produzione in serie.

Torniamo ai mercati, oltre agli Usa dove state crescendo?
Un mercato che andava quasi alla stessa velocità degli Stati Uniti è la Cina, ma i vari lockdown hanno paralizzato il mercato e stiamo iniziando ora a ripartire, sperando che non ci siano altri stop. Dubai sta crescendo in maniera incredibile, da lì vogliamo svilupparci in tutto il Medio Oriente, soprattutto in Arabia Saudita. Lì hanno scoperto il caffè e, non potendo bere alcolici, c’è molta fibrillazione intorno alla nostra bevanda. Bene stanno facendo anche Thailandia e Indonesia. 

Come gestite la concorrenza?
Ci piace pensare che esistano due concezioni opposte: quella dell’oceano rosso e dell’oceano blu. Nel primo caso il colore vermiglio è dato dal sangue degli altri concorrenti, ovvero: si lotta soltanto per strappare quote di mercato, magari incidendo sul prezzo. Dall’altra parte, invece, c’è un mare in cui nessuno ha mai nuotato, che consente di rispondere ai cambiamenti e alle esigenze della clientela. 

Ci faccia un esempio
Stiamo sviluppando prodotti per la casa, come se si potesse portare un coffee shop a domicilio. Il focolare della cucina diventa il luogo intorno a cui ci si ritrova nel weekend, con un torrefattore che presenta il caffè scelto, l’esperienza viene condivisa sui social, ci si scambiano ricette con gli amici. Un cambio radicale di filosofia.

Che cos’altro bolle in pentola?
Molto, a dire il vero. Stiamo collegando migliaia di macchine a internet, tramite IoT. Poi c’è la possibilità di controllare l’intera filiera del caffè. Stiamo sviluppando nuove soluzioni di filtraggio e di manutenzione predittiva. Stiamo abbandonando il famoso movimento “a baionetta” per chi fa il caffè, che provocava danni nei baristi e ci siamo inventati un portafiltro diretto. Al San Raffaele c’è un bar con tre delle nostre macchine: quando ho detto chi era mi hanno fatto un applauso.

Infine c’è l’Accademia del Caffè Espresso…
Esatto: è un grandissimo investimento che abbiamo deciso di realizzare, siamo stati coinvolti nella cultura del lavoro e nella passione nella nostra vecchia fabbrica appena fuori Firenze, nello stabilimento in cui i fondatori si erano trasferiti nel 1960. Da lì si dominano le colline di Fiesole e si realizza un percorso  per il visitatore che vuole conoscere il percorso del caffè attraverso meccanismi esperienziali. 
 

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