Labriola ad Affari: “In Italia tariffe più basse d’Europa, alziamo i prezzi"

Sul titolo in Borsa: “Non mi preoccupano le oscillazioni, siamo alla ricerca di partner stabili”

di Marco Scotti
Pietro Labriola, ceo di Tim
Economia

Labriola: “Per aumentare la redditività pronti ad aumentare le tariffe”

Dopo la presentazione agli analisti, il ceo di Tim Pietro Labriola si è presentato in conferenza stampa aprendosi con i giornalisti presenti sulle varie questioni che riguardano ancora l’azienda. Partendo dalla consapevolezza che per ritrovare marginalità sarà necessario un intervento sui prezzi. “Le tariffe in Italia – ci ha detto Labriolasono le più basse d’Europa, sia sul mobile che sul fisso. Se anche aumentassimo dell’equivalente di un caffè al mese, cioè circa il 10%, rimarrebbero ancora le meno care. Facciamo pagare FTTH e FTTC allo stesso modo, ma non è un modello sostenibile a lungo”. 

Di più: secondo Labriola i ceo dei principali operatori in Italia sono estremamente preoccupati per il momento storico che stiamo vivendo, in cui i margini si riducono. Unica eccezione – “ma si tratta di una startup” ha chiosato Labriola – è Iliad, che ha chiuso il 2021 con Ebitda finalmente positiva e che dovrebbe consolidare ulteriormente i propri risultati. Per il ceo di Tim “è necessario trovare un accordo: i prezzi sono troppo bassi, inutile girarci attorno”.

 

 

Per quanto riguarda la rete unica, il negoziato con Cdp e gli altri soggetti coinvolti procede: si è raggiunto un accordo sul perimetro di Netco, che comprenderà rete primaria e secondaria, uffici centrali, backbone (cioè i collegamenti ad alta velocità) e Sparkle. Per la realizzazione dell'operazione, comprese le autorizzazioni, ci vogliono 15-18 mesi. È vero che l’opzione rete unica rimane quella prediletta da Labriola e dal management di Tim. 

Le altre strategie di Tim nella prossima pagina

“Ma abbiamo anche un Piano B – chiosa il ceo – me l’ha insegnato mio padre: e dunque se entro il 31 ottobre, data prevista nel MoU siglato con Cdp e gli altri, non si dovesse arrivare a un accordo che soddisfi tutti, abbiamo l’intenzione di verificare la possibile apertura a investitori privati, compreso il fondo Kkr con cui manteniamo ottimi rapporti nonostante si sia ‘sfilato’ dalla possibilità di un’opa sulla nostra azienda con una lettera formale”. Kkr, il fondo americano che aveva offerto 0,505 euro per azione di Tim, ha nel frattempo firmato il MoU con Cdp Equity, Open Fiber, Macquarie e Tim sulla rete unica ed è attualmente azionista di FiberCop con il 37,5%. Oltre a Kkr, un altro fondo che ha mostrato interesse per l’azienda è CvC. “Ci saranno riscontri positivi nelle prossime settimane. Siamo orgogliosi - ha aggiunto l’ad - che un fondo di private equity ci abbia considerati perché non abbiamo ancora la società”. 

Non preoccupa molto, invece, l’oscillazione del titolo di Tim (che ha comunque chiuso la seduta odierna in rialzo, in una giornata euforica). Secondo Labriola, infatti, in molti sono oggi investitori puri, cioè che cercando di massimizzare il profitto nel breve periodo. L’azienda invece cerca partner di medio e lungo periodo. Questo perché “negli ultimi 10 anni – ha spiegato – non abbiamo mai raggiunto la guidance al secondo anno e solo tre volte quella al primo. Per questo ora vogliamo cambiare strada”. 

Riduzione del personale

Labriola ha parlato anche della riduzione dei lavoratori: sono previsti 9mila dipendenti in meno da qui al 2030, considerando che l’età media degli occupati nell’azienda è di circa 54 anni. “Nessuna operazione traumatica – garantisce il ceo – ci avvarremo dell’articolo 4 (cioè l’isosospensione) ma anche della possibilità di spostare i lavoratori dove ci sia più bisogno. Bisogna abituarsi a cambiare occupazione non solo modificando l’azienda per cui si lavora, ma anche trovando nuove opportunità all’interno dell’impresa stessa. Nella rete i lavoratori saranno circa 15mila, oltre 5mila nella Enterprise. Al 2026 i dipendenti di ServiceCo scenderanno a 11mila”. Sul versante del debito, che Tim con il suo piano intende ridurre, con il deconsolidamento della rete circa 11 miliardi potrebbero seguire Netco, come ha spiegato il cfo di Tim, Adrian Calaza. Per ServiceCo, l'obiettivo è scendere sotto i 5 miliardi di debito.

Dazn e il cloud pubblico

Non ci sono novità sulla rinegoziazione del contratto per i diritti Tv della Serie A con Dazn. L’accordo prevede un esborso di 340 milioni all’anno ma gli scarsi risultati ottenuti in termine di audience e di nuove sottoscrizioni aveva fatto pensare che ci sarebbe stato uno “sconto”. Cosa che, almeno per ora, non è ancora avvenuta. Per quanto riguarda, infine, il cloud pubblico, Tim, Cdp, Sogei e Leonardo hanno diritto a pareggiare l’offerta per il Polo Nazionale che vede, al momento, aggiudicatario il tandem Fastweb-Engineering. Labriola si è limitato a dire di essere ottimista sul dossier, ma in serata è arrivata la conferma che il consorzio ha esercitato la clausola. Il progetto PSN prevede la realizzazione e la gestione di un’infrastruttura per l’erogazione di soluzioni  e servizi cloud per la Pubblica Amministrazione, con l’obiettivo di assicurare il maggior livello  possibile di efficienza, sicurezza e affidabilità dei dati. L’iniziativa si inserisce nel piano complessivo  di accelerazione della trasformazione digitale del Paese per fornire servizi innovativi a cittadini e  imprese, come previsto dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e dagli interventi  normativi in materia di infrastrutture digitali.  

I sindacati attaccano il piano di Labriola

"Le indicazioni scaturite dall’evento odierno non ci fanno cambiare la nostra opinione in merito al 'piano d’impresa - Beyond vertical integration'. Continuiamo ad essere fortemente contrari alla 'disintegrazione' del gruppo Tim e quindi alla vendita della rete, è un piano industriale prettamente finanziario realizzato per dare risposte agli azionisti (stranieri) di riferimento". Ad affermarlo in una nota è il segretario generale della Uilcom Uil, Salvo Ugliarolo, al termine della presentazione dell’Amministratore Delegato di Tim Pietro Labriola.

"Quello che vogliono farci passare per un grande ed evoluto piano, non è successo in nessun altro Paese – sarebbe stato più utile, viceversa, avere la capacità di rimediare agli errori del passato con scelte decisamente diverse e non con quella di spaccare la principale azienda del settore delle Tlc e una tra le più importanti del Paese. Oltre a consegnare la rete a fondi stranieri - sottolinea - vorremmo capire il reale futuro delle lavoratrici e lavoratori del Gruppo Tim (circa 43.000 occupati) e chi si dovrà assumere la gestione di migliaia di esuberi è scandaloso il silenzio del Governo che, anche questa volta, preferisce girare la testa dall’altra parte e fare finta di non vedere il serio rischio che questa operazione porterà all’Italia".

"Se poi le eccedenze di personale verranno gestite in maniera volontaria, ad esempio con l’art. 4 della legge Fornero, e senza utilizzo di alcun ammortizzatore sociale ne prendiamo atto positivamente – viceversa il Governo si prepari ad essere chiamato in causa! Per quanto ci riguarda, continueremo a vigilare affinché da tutta questa triste vicenda non siano le lavoratrici ed i lavoratori a pagare il prezzo più alto. La strada è lunga e noi faremo tutto il necessario per continuare a spiegare che ci possono essere scelte diverse per consegnare al Paese una Rete migliore ed allo stesso tempo non distruggere una grande realtà industriale come il Gruppo Tim", conclude.

"La prospettiva della rete unica è una proposta che il sindacato avanzò già tre anni fa. Quindi per noi il problema oggi non è la rete unica, ma lo scempio che si sta compiendo su Tim". Lo afferma il segretario generale della Slc Cgil, Fabrizio Solari. Secondo il dirigente sindacale: “Si sta cancellando una delle poche grandi aziende rimaste nel nostro Paese creando una gravissima asimmetria rispetto a quanto avviene nel resto d’Europa, dove gli ex ‘incumbent’ nazionali, verticalmente integrati, pensano a un processo di consolidamento per crescere e competere nel mondo globalizzato”.

Lo spezzatino di Tim - aggiunge Solari - rischia di generare, invece, una società della rete più simile all’Anas che a una moderna impresa di telecomunicazioni, mentre il segmento servizi, visto il carico di debiti e di costi generali che avrà in dote, dovrà affrontare una competizione difficilmente sostenibile nell’asfittico mercato nazionale, con il forte rischio di pesanti ricadute occupazionali”.

“La ragione addotta per la separazione - sottolinea il segretario generale della Slc Cgil - è che genererebbe valore, ma a suo tempo la moltiplicazione dei pani e dei pesci richiese un miracolo. Davvero, quindi, non si capisce il motivo per il quale, con l’attuale capitalizzazione di borsa, per comprare l’intera Tim basterebbero 4 miliardi, mentre Cassa Depositi e Prestiti e soci per comprarne solo un pezzo (la rete) dovrebbero sborsare tra i 20 e i 30 miliardi. Visto che nell’operazione è impegnata un’azienda pubblica - conclude Solari - mi aspetto che il governo voglia fare chiarezza”.

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