Salario minimo: l'Italia ha già i contratti collettivi.. ma molti sono scaduti
La direttiva dell'Unione Europea sul salario minimo non porterà grandi cambiamenti in Italia, dove già esistono 935 contratti per il settore privato
Salario minimo, l'Italia è coperta dai contratti collettivi: ma 6 milioni di lavoratori aspettano il rinnovo
La contrattazione collettiva coinvolge praticamente ogni azienda e lavoratore italiano, con una copertura del 99% e del 98%. Ogni contratto, stipulato tra associazione di categoria e datore di lavoro, impone una retribuzione minima per ogni settore. Dunque, in Italia, tecnicamente, il salario minimo esiste già. Cosa c’è dunque che non va? Ebbene, più della metà di questi contratti non viene utilizzata nelle denunce mensili. Come scrive Italiaoggi, nello specifico, nel 2020 l’Inps ha censito solo 403 contratti su 854. Per il settore privato, ad esempio, di cui esistono 935 contratti, il 60% di questi è scaduto.
Ora la domanda sorge spontanea. Se l’Italia gode di tale copertura, l’accordo raggiunto tra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo sulla direttiva sul salario minimo riuscirà a convivere con i contratti collettivi nazionali? Il testo, comunque, non impone l'obbligo di istituire per legge un salario minimo in ogni stato, ma definisce un concetto generico per il quale ogni lavoratore europeo deve guadagnare il necessario per poter vivere dignitosamente. Per raggiungere l’obbiettivo, le strade sono due: o imporre un limite minimo per legge oppure un'ampia copertura della contrattazione collettiva.
La Commissione indica due livelli percentuali: con una copertura dei Contratti collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) sotto al 70% c'è un urgente bisogno di intervenire mentre se la copertura supera l'80% questa esigenza non c'è. In Italia, come detto, da questo punto di vista saremmo abbondantemente coperti e, quindi, la direttiva non implicherebbe nessun obbligo. Ciò nonostante, il dibattito è molto caldo e un anno fa è stata presentata dall'ex ministro del lavoro Nunzia Catalfo una proposta di legge per istituire un salario minimo orario di 9 euro, che attualmente è bloccata in Senato. Perché, quindi, intervenire se la copertura contrattuale è così alta? Ebbene, i motivi non mancano. Basta dare un’occhiata ai numeri.
Il testo della direttiva non è ancora stato approvato definitivamente, ma in settimana è stato raggiunto l'accordo sul provvedimento, che entro l'estate diventerà realtà. Dopo, i membri dell’Ue avranno due anni per recepire la direttiva. Non verrà imposto l'obbligo di salario minimo, visto che viene sottolineato più volte che sono i paesi membri a dover decidere come definire la tutela e a quanto fissare la soglia.
L'obiettivo è quello di avere una copertura minima dell'80% (sotto il 70% c'è l'assoluta urgenza di intervenire). Uno dei punti fondamentali della direttiva è l'aggiornamento periodico dei salari; si parla infatti di un meccanismo di collegamento con l'inflazione e, in ogni caso, i livelli dovranno essere valutati almeno ogni due anni. Sulla copertura della contrattazione l'Italia è pienamente in regola, mentre sul lato dell'aggiornamento periodico la situazione diventa più complicata tra contratti scaduti e contratti pirata. Sono 935 i contratti censiti al Cnel.
Tra questi, 588 sono scaduti (il 59,7%) e altri 95 scadranno entro la fine dell'anno (aggiornamento al 31 maggio 2022). Sempre secondo Italiaoggi, questi contratti comprendono il 47% del totale dei lavoratori (oltre 6 milioni), che quindi non hanno goduto dell'attualizzazione dei salari minimi, o almeno sono in attesa di riceverla (e il dato non comprende i settori agricoltura e lavoro domestico, che hanno 55 contratti scaduti; perciò, il numero è certamente più alto).
Ma non è tutto. A questo si deve aggiungere un altro elemento ricorrente per quel che riguarda i Ccnl, ovvero la rappresentatività e l'effettivo utilizzo di questi contratti. Secondo i dati Inps, su 854 contratti presenti nell'archivio Cnel a ottobre 2020, quelli censiti da Uniemens erano 403, ovvero meno della metà. Inoltre, il 53% dei Ccnl depositati non sono utilizzati nelle denunce mensili, con il restante 47% che copre però quasi tutto il mercato del lavoro italiano, con il 98% della forza lavoro impiegata nel privato e il 99% delle aziende.
Insomma, tralasciando problemi di scadenze e rappresentatività, la quasi totalità dei lavoratori italiani ha un Ccnl di riferimento nel quale è definito un salario minimo orario. E non sono pochi quelli con salari inferiori ai 9 euro. I numeri arrivano sempre dall'Inps che ha elaborato un'analisi strutturata su tre livelli: un salario orario lordo senza ultra-mensilità (tredicesime e quattordicesime), uno comprensivo delle ultrà-mensilità e uno con ultra-mensilità e Tfr.
Il primo caso (solo salario) vede 4,5 milioni di lavoratori sotto la soglia dei 9 euro (il 28,7% del totale). Nel secondo caso (salario + 13esima) sono 2,8 milioni (il 18,4%) mentre nel terzo caso (salario + 13esima + tfr) si arriva a poco meno di due milioni (1.985.504, il 12,9% dei lavoratori totali). Quindi, comunque la si voglia vedere, sono almeno due milioni i soggetti sotto la soglia dei 9 euro orari lordi. Questo perché esistono Ccnl il cui valore minimo è minore di quello previsto dalla proposta di legge.
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