Salario minimo? Un salasso. Rischio licenziamenti, lavoro nero e inflazione

Salario minimo, ma... chi paga gli aumenti? Secondo i Consulenti del Lavoro 12 miliardi l'anno di maggiori costi

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Salario minimo? Un salasso. Rischio licenziamenti, aziende fallite, lavoro nero e inflazione

Tutti a parlare di salario minimo obbligatorio per legge a 9 euro. Ombrelloni, bar, ristoranti sono invasi da un tema cosi popolare ma anche cosi tecnico. C’è poi questo sondaggio anonimo on line dai contorni incerti (chi vi partecipa non è identificabile) che alimenta ancora più confusione. Facciamo chiarezza.

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È evidente che chi riceve la domanda secca (“Vorresti guadagnare di più a parità di condizioni di lavoro?”) non può che rispondere affermativamente. Ma a nessuno vengono fatte altre due domande che sono dirimenti per conoscere il vero parere degli italiani.

La prima è chi dovrebbe pagare questi aumenti. La seconda se i lavoratori sarebbero disponibili ad accollarsi le sicure conseguenze negative dell’entrata in vigore di una norma cosi concepita.

CHI PAGA GLI AUMENTI?

Nessun partito si è peritato di fare i conti di questo maggior costo del lavoro. Ci hanno pensato i Consulenti del Lavoro che in un loro approfondimento hanno quantificato in 12 miliardi l’anno i maggior costi di un’operazione cosi concepita. E questo anche in virtù dell’effetto boomerang sui livelli superiori dell’aumento del minimo. Ad esempio, se in un Ccnl attualmente ultimo livello è 7 euro e penultimo 8 e terz’ultimo 9, è evidente che applicando 9 all’ultimo tutto sarà innalzato considerato che a ogni livello corrispondono mansioni e responsabilità superiori.

In questo contesto è importante capire chi paga questi maggiori oneri aziendali. Una parte dell’opposizione vorrebbe che detti aumenti salariali siano posti a carico della Finanza Pubblica. Ipotesi non percorribile per due motivi. Il primo sta nella non sostenibilità dell’importo sul bilancio statale. Il secondo invece sta nell’incompatibilità di siffatta ipotesi con un’economia di mercato. Allora non resta che valutare gli effetti del porre a carico questi maggiori oneri a carico del sistema delle imprese, con un ovvio aumento esponenziale del costo del lavoro. Gli effetti legati a questa ipotesi sarebbero devastanti per l’intera economia italiana.

AUMENTO DI BENI E SERVIZI AL CONSUMO

Sarebbe la prima conseguenza che dovrebbero subire tutti i cittadini, lavoratori compresi. Un aumento così corposo del costo del lavoro sarebbe immediatamente ribaltato sul consumatore finale, creando una spirale inflazionistica.

RIDUZIONE DELL’ORGANICO AZIENDALE

Un’altra conseguenza potrebbero essere licenziamenti legati alle mutate condizioni di mercato con costi a carico dello Stato (indennità di disoccupazione, ora chiamata Naspi) e grande nocumento per i lavoratori.

AUMENTO DEL LAVORO NERO

Altri potrebbero essere indotti a non registrare i lavoratori per non dover riconoscere il salario minimo legale, con conseguente danno sociale ed economico, sia per lo Stato (mancati introiti di contributi) sia per i lavoratori (mancato riconoscimento di diritti).

CHIUSURA PER DISSESTO

Infine, le aziende che invece rispetteranno il nuovo obbligo di salario minimo senza aumentare i prezzi sarebbero destinate al dissesto con negatività per tutti. Imprenditori falliti, lavoratori disoccupati, sistema economico impoverito, con costi a carico dello Stato (debiti non saldati, sussidi da pagare, imposte e contributi non versati). Insomma, non vi è persona che affronti con un minimo di cognizione questo tema che possa vederne benefici.

Resta però il tema della perdita di potere d’acquisto dei salari che quindi vanno aumentati. L’unica strada è quella di ragionare nell’ottica dettata dalla Commissione Europea: aumentare i salari tramite la contrattazione collettiva. E la ricetta italiana (farlo tramite la retribuzione di risultato) è quella che non porta a nessuno degli effetti negativi appena evidenziati

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