Smemoranda, rosso da 40 mln e licenziamenti tabù: il crac oscurato dalla Sx

Oltre 160 dipendenti lasciati a casa, un buco da più di 40 milioni di euro nei bilanci: ma i sindacati restano in silenzio. Sotto accusa la Cgil di Landini

di Redazione Economia
Gino Vignali, Michele Mozzati e la Smemoranda
Economia

Smemoranda, licenziamenti e crac sono un tabù nei salotti della sinistra. Ecco perchè

Un crac annunciato, eppure ignorato. Di cosa si parla? Del gruppo Smemoranda, che comprendeva oltre al noto marchio di agende, Zelig, Gut distribution, i punti vendita C’Art e Nava. Perché se ne parla, o meglio, non se ne parla? A svelare retroscena inediti ci ha pensato il quotidiano “La Verità”, tirando in mezzo la manifestazione dei sindacati di sabato a Bologna: "A Milano, nei salotti frequentati dal sindaco Beppe è vietato citarla. La Cgil non si è neppure scomodata con un comunicato di solidarietà… Non si è scomodato neppure il vignettista Altan, che per anni ha riempito le pagine dell’agenda Smemoranda con il suo operaio metalmeccanico Cipputi. Ci si poteva aspettare magari una vignetta a ormai più di un mese dal licenziamento di 160 persone dell’azienda che per anni è stato un baluardo della sinistra italiana”.

E ancora: “A Bologna è andata in scena l’ipocrisia di un sindacato, quello di Maurizio Landini che, con ben due rappresentanti all’interno del gruppo Smemoranda, per anni non avrebbe mai risposto alle richieste dei lavoratori che avevano avvertito i vertici sui rischi degli investimenti a Shanghai, Miami o nella televisione Zelig… raccontano alcuni ex dipendenti alla Verità, 'in molti si erano rivolti ai due esponenti della Cgil per una mobilitazione di protesta o almeno un comunicato per rendere nota la situazione drammatica dei conti dell’azienda'". 

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Smemoranda, licenziamenti e crac sono un tabù. Lo strano caso dei sindacati in piazza

"Caso vuole - continua La Verità - che, mentre 160 persone tra le varie società sono state licenziate, i due rappresentanti sindacali siano tra le poche decine di persone rimaste in cassa integrazione. Non ci sono mai state proteste o picchetti, neppure un corteo di solidarietà. E pensare che Nico Colonna, storico direttore di Smemoranda, si è formato nei collettivi studenteschi del ’68. Lui, come anche i fondatori Gino Vignali e Michele Mozzati. Per non parlare dei quotidiani. Il Corriere della Sera, che con Rizzoli ha pubblicato per anni i libri di Gino Vignali e Michele Mozzati, tace. Si è limitato a raccontare il rischio della chiusura dello storico Teatro Zelig. Per di più il 24 aprile scorso, sulla pagina online del Corriere, è comparsa un’intervista ai due soci fondatori Gino e Michele dove si spiega che le colpe del fallimento sarebbero di Covid e guerra. 'Purtroppo è andata così, ma non ci pentiamo di niente', dicono i due quasi all’unisono". 

Difficile che il buco da 40 milioni di euro (ma c’è chi sostiene siano il doppio) nei bilanci sia dovuta solo all’emergenza sanitaria degli ultimi due anni o al conflitto tra Russia e Ucraina. Anche i giornali del gruppo Gedi, da Repubblica alla Stampa, non ne scrivono. "Non poteva andare diversamente, continua La Verità, basta guardare la compagine degli azionisti, dove compaiono cognomi importanti della tradizione aristocratica milanese, dai Moratti ai Borromeo. Dall’ex presidente dell’Inter Massimo Moratti al direttore Nico Colonna, da Vitaliano Borromeo a Gianni Crespi fino all’ex amministratore delegato Andrea Bolla, e da cui non è arrivato nemmeno un commento o una nota sul fallimento del gruppo Smemoranda".

Smemoranda, licenziamenti e crac sono un tabù. Ecco cosa è successo

I lavoratori che alla fine di marzo sono rimasti a casa senza lavoro si sono affidati a diversi studi legali del lavoro e attendono il 9 ottobre, quando si terrà al tribunale di Milano l’udienza per la messa in liquidazione della società. C’è chi spera di recuperare gli stipendi arretrati, Tfr e ferie non godute, o almeno parte dei contributi pensionistici. Dietro a Smemoranda group, infatti, ci sono manager che nel 2020 avrebbero deciso di non pagare più i contributi dei propri dipendenti senza comunicarlo. Non solo. 

"Ci sono imprenditori che, racconta La Verità, mentre i dipendenti erano a casa in cassa integrazione (quasi 20 mesi durante la pandemia) si sono aumentati gli emolumenti assegnando premi produzione a loro stessi, durante i mesi di cassa integrazione c’è chi ha continuato a lavorare, anche fuori dall’orario di lavoro, per consentire all’azienda di mettere sul mercato i prodotti e continuare a fatturare. Peccato che la sinistra e la Cgil, da sempre attenti ai lavoratori e alla tutela dei diritti, abbiano deciso di guardare dall’altra parte".

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