Lo Stato fa accordi con le aziende del tabacco. Ma allora perché i divieti?

Che l'economia si basi su tutti i settori produttivi è una realtà, produce reddito e posti di lavoro, ma anche accise: le contraddizioni dello Stato

L'opinione di Ezio Pozzati
Economia

Perché si fanno accordi con una multinazionale del tabacco se poi si vogliono aumentare i divieti? La sindrome di Tafazzi

A Modena scatta il divieto di fumo nei dehors e nei parchi. A livello nazionale si era diffusa la notizia - per ora smentita dai diretti interessati - di rendere lo "stop" alle bionde ancora più stringente. Quello che stona un po' è che in Italia abbiamo una società che si chiama Philip Morris ed è una multinazionale del tabacco, la quale ha stipulato un accordo con il Ministero dell'Agricoltura, per un importo di 500 milioni di euro, per sostenere la filiera del tabacco. L'Italia è uno dei maggiori produttori di tabacco d'Europa.

L'impegno da parte della PM è di acquistare 21.000 tonnellate di tabacco ogni anno da lavorare presso lo stabilimento di Crespellano (BO). Ora, non vi sembra che ci sia qualcosa che non va? Per cultura non mi piace il “proibizionismo” tout court perché mi ricorda tanto quello degli anni '30 in America. Che i bambini e le persone in generale debbano vivere in un ambiente sàlubre sono pienamente concorde, allora la domanda è: ma provare a sostituirsi in toto al libero arbirtrio è forse un po' troppo.

Che l'economia si basi su tutti i settori produttivi è una realtà, produce reddito e posti di lavoro, ma anche accise. Solo per le sigarette: a differenza degli altri tabacchi lavorati, l’accisa corrisponde alla somma tra una componente fissa e una proporzionale al prezzo di vendita al pubblico; la componente proporzionale è calcolata a partire da un’aliquota di base fissata al 49,50%, mentre quella specifica fissa per unità di prodotto, determinata per l’anno 2023, è pari a Euro 28,00 per 1.000 sigarette.

Tutte le categorie sono assoggettate all’IVA nella misura del 22% del prezzo di vendita al pubblico al netto dell'IVA stessa e all’accisa che varia in relazione alla categoria. Per le sigarette è, altresì, fissato un onere fiscale minimo (IVA + Accisa) - pari per l’anno 2023 a Euro 199,72 per chilogrammo convenzionale/1000 sigarette. L’aggio spettante al rivenditore al dettaglio (tabaccaio), è pari al 10% del prezzo di vendita al pubblico.

Il compenso del produttore, su cui gravano anche le spese di distribuzione, è dato dalla differenza fra il prezzo di vendita al pubblico e gli importi risultanti da accisa, IVA e aggio), composizione del prezzo - Agenzia delle dogane e dei Monopoli (adm.gov.it). Non vi sembra che tutto ciò diventi contraddittorio? O, forse è in contrasto con le leggi che uno Stato emana? Poi si è insinuato in me il tarlo che il tabacco lavorato in Italia venga venduto a paesi terzi… Ergo dov'è il problema? 

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