Tim, ecco l'offerta del Mef per Sparkle. E in futuro possibili fusioni
Nelle scorse settimane sia Iliad che WIndTre hanno rispolverato il tema consolidamento. E a breve potrebbe diventare l'unica strada percorribile
Tim, ecco come potrebbe essere l'offerta del Mef per Sparkle
La parola d’ordine che rimbomba nei corridoi di Tim è in questo momento “prudenza”. Nessuno vuole sbilanciarsi ora che l’offerta vincolante di Kkr sta prendendo definitivamente corpo. Si parla di un faldone composto da decine di pagine, impossibile da leggere nel momento in cui è stato emesso il comunicato questa mattina, prima dell’apertura delle Borse. Confermata l’indiscrezione di Affaritaliani.it che vuole sia il Mes (e non gli americani) a presentare un’offerta per i cavi di Sparkle. Potrebbe proprio essere questa mossa ad aver fatto lievitare l’offerta complessiva: 20 i miliardi che sarebbero stati messi sul piatto dagli americani di Kkr (oltre a un earn out di tre miliardi per l’integrazione con Open Fiber). A questi bisogna sommare la cifra stanziata per Sparkle. Indiscrezioni parlano di un importo tra gli 800 milioni e il miliardo.
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Ma, ovviamente, tutto è ancora in divenire. Finché non saranno rese note le intenzioni definitive si continuerà a muoversi tra le ipotesi. Anche le date sono ancora da definire. A quanto risulta ad Affaritaliani.it, il consiglio di amministrazione di Tim si riunirà prima del cda già fissato per l’8 novembre in cui si analizzeranno i conti dei nove mesi. Pochi giorni, non più di due settimane, per decidere esattamente che cosa fare con la rete. Intanto però il titolo affonda e qualcuno sostiene che il mercato non stia esattamente apprezzando quanto accade intorno all’ex-Telecom.
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Si vedrà nei prossimi giorni: una sola seduta (seppur molto nera visto che Tim ha perso oltre il 6%) non può essere indicativa. Dall’inizio dell’anno le azioni hanno guadagnato quasi il 17% e sembrano molto lontani i tempi in cui sono arrivate a valere 0,18 euro. Il target price degli analisti è salito fino a quota 0,42-0,43. Ma c’è ancora molto da fare e da chiarire. Il primo tema da comprendere è quello relativo allo scorporo delle attività della rete dal resto dell’azienda. Si conferma l’intenzione del board, una volta analizzata l’offerta di Kkr, di portare in assemblea le decisioni per cogliere gli “umori” anche di quella parte di azionisti che è sempre rimasta più in disparte.
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Ipotizzando che tutto vada a buon fine, quale dovrebbe essere la formula più corretta? Per Vivendi sarebbe doveroso un cambio di statuto, che passa necessariamente per un’assemblea straordinaria dove le decisioni si prendono con il 66% del capitale presente. Ovvio pensare che in una situazione di questo tipo, Vivendi – che detiene il 24% delle azioni – non dovrebbe trovare troppe difficoltà a bloccare la vendita della rete. Nelle scorse settimane si era diffusa anche la voce che i francesi avessero chiesto di stoppare la cessione di quell’asset strategico, asserendo che fosse più opportuno provare a cambiare il management e cercare di trovare una soluzione alternativa. Ad esempio il famoso take private che però non è mai decollato.
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Come ricordato da tre autorevoli esperti, Piergaetano Marchetti, Giuseppe Portale e Andrea Zoppini, con tre diversi pareri, hanno dato ragione alla società. C’è anche il precedente di Wind Tre, che ha ceduto il 60% della sua Netco al fondo svedese Eqt senza per questo cambiare la propria ragione sociale. E dalle parti di Tim sono sicuri che anche in questo caso non si debba procedere a una modifica dello statuto. Le ragioni di Vivendi, però, sono comprensibili: l’acquisto del 24% di Tim potrebbe trasformarsi in una potenziale perdita da quasi tre miliardi di euro. Per questo da Vincent Bollorè in giù sono tutti molto “suscettibili” di fronte al dossier.
I francesi fanno notare che una volta ceduta la rete, l’appeal della ServiceCo di Tim sarebbe molto ridotto, pur diventando una società che, soprattutto grazie al Brasile ma anche alla parte enterprise, potrebbe arrivare ad avere Ebitda intorno ai tre miliardi e debito vicino ai sei: un rapporto decisamente sostenibile. Rimane poi da capire come rendere fruttuosa questa nuova società deputata ai servizi. Sicuramente non verrà ripetuto un esperimento come quello con Dazn, che si è tramutato in circa 500 milioni di rosso. Più facile, invece, che si inizi a guardarsi intorno con una sola parola d’ordine: consolidamento.
Il mondo delle telecomunicazioni ha margini ormai ridottissimi, per non dire nulli. E la leva del prezzo, su cui si è consumato lo scontro tra i top player europei, non può più essere impiegata, pena la definitiva distruzione del sistema. E allora, se gli over the top hanno monopolizzato l’erogazione di servizi in streaming, quali possono essere eventuali ulteriori motivi di business? Latitano, appunto. E quindi l’unica strada è quello di raggruppare player. Ma al momento, se si escludono i Paesi Bassi, nessun altro Paese ha intrapreso questa strada. Ora però qualcosa st cambiando.
In diretta a Cernobbio, in occasione di ComoLake 2023, infatti, sia l’amministratore delegato di WindTre Gianluca Corti, sia il suo omologo di Iliad Benedetto Levi hanno aperto a qualche operazione. L’hanno fatto usando toni diversi. Il primo ha chiesto un cambio strutturale delle regole a livello europeo, pena il fallimento di qualsiasi tentativo di creare sinergie. Il secondo, invece, ha ricordato che lo scorso anno Iliad aveva presentato un’offerta per il 100% di Vodafone Italia. Proposta rispedita al mittente ma che sicuramente ha aperto una breccia in un mondo che aveva vissuto una moltiplicazione degli operatori negli anni passati.
Infine, c’è da ricordare che Pietro Labriola, al timone di Tim ormai da poco meno di due anni, ha già lanciato al governo (prima a quello Draghi, poi a quello Meloni) un suo personale “elenco” delle priorità. Oltre al consolidamento, la necessità di innalzare i livelli minimi dello spettro elettromagnetico, fino all’adozione di una nuova politica industriale del settore. E oggi, a distanza di un anno e mezzo, in molti sostengono che sia questa la strada da seguire. Significa che Labriola è un profeta da seguire a ogni costo? No di certo. Ma che le urgenze di un comparto strategico come quello delle telecomunicazioni sono molteplici. E che i sei miliardi destinati dal Pnrr al settore sono un po’ pochi per fare la rivoluzione. Qualcuno vicino al mondo delle tlc ha già iniziato a dire che le prossime settimane – dopo mesi già complicati – saranno quelle davvero decisive. In attesa di un 2024 in cui si potrebbero pianificare alcuni matrimoni. D’interesse, sicuramente. Ma anche di sopravvivenza.